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Covid 19

Nuovo studio sul coronavirus smentisce tesi su mutazioni: “Nessuna variante aumenta la contagiosità”

A sostenerlo è un gruppo di ricercatori dell’University College di Londra in un lavoro pubblicato sulla rivista Nature Communications: “Le mutazioni finora conosciute, compresa D614G, non sono associate a un aumento della trasmissione virale”.
A cura di Valeria Aiello
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Rendering del coronavirus. Credit: KAUST; Ivan Viola
Rendering del coronavirus. Credit: KAUST; Ivan Viola
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Un nuovo studio sul coronavirus Sars-Cov-2 condotto da un gruppo di ricercatori dell’University College di Londra smentisce le tesi secondo cui le varianti virali finora identificate, compresa quella denominata D614G, abbiano aumentato la sua contagiosità. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista Nature Communications, indicano che nessuna variante del patogeno originale (wild-type) isolato a Wuhan, in Cina, sembra aver aumentato la trasmissibilità del virus negli esseri umani. L’analisi ha preso in esame i genomi di Sars-Cov-2 isolati in oltre 46mila pazienti Covid-19 in 99 diversi Paesi per verificare formalmente se uno di questi fosse o meno coinvolto nel cambiamento della forma virale. Un numero “impressionante” ha commentato la prima autrice e corrispondente dello studio, la dott.ssa Lucy van Drop dell’Istituto di Genetica dell’University College di Londra. “Ci siamo resi conto fin dall’inizio della pandemia che avevamo bisogno di un nuovo approccio per analizzare i dati e verificare se le nuove mutazioni potessero influenzare la trasmissione”.

Nessuna variante aumenta la contagiosità

I coronavirus come Sars-Cov-2 sono patogeni con codice genetico a Rna che, come accade anche per altri virus, possono andare incontro a mutazioni in seguito a tre diversi eventi. Le mutazioni possono infatti essere determinate da errori durante la replicazione virale, un’eventualità che in Sars-Cov-2 è ridotta dalla presenza di polimerasi che inducono meccanismi di correzione; possono essere il risultato della ricombinazione tra due linee virali che co-infettano lo stesso ospite; oppure essere indotte da sistemi di editing dell’Rna virale da parte della cellula ospite, come i meccanismi innescati dal sistema immunitario di una persona.

Nonostante la maggior parte delle mutazioni siano neutre, ossia non determinino cambiamenti osservabili nelle caratteristiche del microrganismo, alcune possono essere vantaggiose o svantaggiose per il virus. Diversamente dalle mutazioni altamente svantaggiose – che possono ad esempio impedire a Sars-Cov-2 di infettare le cellule e che vengono rapidamente perdute all’interno di una popolazione – le mutazioni leggermente svantaggiose possono essere conservate anche solo in via transitoria. Al contrario, le mutazioni neutre e quelle vantaggiose possono diventare sempre più comuni e essere trasmesse alla progenie virale.

Smentita la tesi su maggiore contagiosità

Su un totale di 46.723 genomi di Sars-Cov-2 analizzati nello studio, i ricercatori hanno identificato 12.706 mutazioni, di cui 398 hanno mostrato di verificarsi ripetutamente e indipendentemente. In particolare, 185 mutazioni si sono verificate almeno tre volte in modo indipendente nel corso della pandemia. “Fortunatamente – ha chiarito van Dorp – abbiamo scoperto che nessuna di queste mutazioni sta facendo diffondere Covid-19 più rapidamente, anche se è prioritario rimanere vigili e continuare a monitorare le nuove mutazioni, in particolare quando verranno lanciati i vaccini”.

Per verificare se alle mutazioni era associato un aumento della trasmissione del virus, i ricercatori hanno sviluppato un albero filogenetico, un modello in grado di mostrare le relazioni fondamentali di discendenza, valutando se una particolare mutazione stesse o meno diventando più comune delle altre. Come detto, nessuna variante ha mostrato evidenze di un aumento significativo in termini di trasmissione, inclusa la mutazione della proteina Spike chiamata D614G che precedenti studi hanno invece dimostrato essere la variante più comune a livello globale, riuscita a soppiantare il virus wild-type inizialmente isolato a Wuhan dal momento che la mutazione avrebbe reso il virus più contagioso. “Al contrario – precisano gli studiosi – troviamo che alla mutazione D614G non è associato un significativo aumento di trasmissione virale in linea con i nostri risultati per tutte le altre mutazioni ricorrenti testate”.

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