Nella seconda ondata di Covid il tasso di mortalità è diminuito nei Paesi più ricchi
Alcuni dei Paesi più ricchi dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti nord-orientali hanno ridotto in maniera significativa i tassi di mortalità per Covid-19 tra la prima e la seconda ondata della pandemia. Lo evidenziano i risultati di un’analisi condotta dagli studiosi dell’Università di Sydney, in Australia, e dell’Università Tsinghua di Pechino, in Cina, che mediante un nuovo metodo matematico hanno determinato quali Paesi sono riusciti a limitare in modo più sostanziale la mortalità. “Abbiamo preso una serie temporale dei tassi di infezione per ogni Paese, applicando un approccio algoritmico per dividerlo nelle diverse ondate e poi eseguito alcune ottimizzazioni e calcoli relativamente semplici per determinare due diversi numeri di mortalità” ha spiegato Nick James della School of Mathematics & Statistics dell’Università di Sydney e primo autore della ricerca.
Il calcolo, dettagliato nello studio pubblicato sulla rivista Chaos, ha indicato una sostanziale eterogeneità nella variazione dei tassi di mortalità. In particolare, i Paesi Bassi hanno ridotto drasticamente la letalità nella seconda ondata, con un calo del tasso di mortalità di oltre 16 volte rispetto a quello registrato nella prima ondata, la flessione più importante registrata sia in Europa sia negli Usa. Anche Danimarca (14,3), Francia (13,7) e Belgio (11,2) hanno registrato una diminuzione significativa tra prima e seconda ondata, davanti a Spagna (9,5), Regno Unito (9,5), Irlanda (9,2), Andorra (8,8), Finlandia (8,4) e Norvegia (6,2).
Un trend che ha portato i ricercatori ad attribuire le diminuzioni europee più sostanziali ai Paesi più ricchi dell’area occidentale o settentrionale del Vecchio Continente, con due importanti eccezioni relative alla Germania e alla Svezia che, rispettivamente, hanno registrato una diminuzione del tasso di mortalità di 3,6 e 3,8 volte rispetto alla prima ondata. In Italia, il tasso di mortalità della seconda ondata è risultato di 5,2 volte più basso nel confronto con quello della prima. Al contrario, la Bielorussia – con un rapporto di mortalità di 0,72, dunque inferiore a 1 che indica un aumento della mortalità – ha registrato un incremento del tasso di mortalità nella seconda ondata, mentre Ucraina e Moldavia stavano ancora affrontando la prima ondata alla fine del 2020.
Le differenze sono risultate meno marcate negli Usa, sebbene Stati come New York (7,1), New Jersey (8,23) e Connecticut (6,7), particolarmente colpiti dalla prima ondata, abbiano registrato una diminuzione dei tassi di mortalità in linea con molti Paesi dell’Europa occidentale. Arkansas e Tennessee, invece, hanno registrato un aumento della mortalità, con un rapporto rispettivamente di 0,7 e 0,9.
“Il nostro lavoro ha mostrato importanti cali della mortalità rispetto ai casi segnalati e ai decessi – ha indicato Max Menzies della Tsinghua University e coautore dello studio – . Tuttavia, il problema è che forse non sapremo mai il vero numero di casi all’inizio della prima ondata, anche se è possibile che ricerche e analisi future cercheranno di determinarlo”.
“L’eccesso di mortalità rispetto agli anni precedenti non è adatto a calcolare il numero reale di morti di Covid-19 – ha aggiunto Peter Radchenko, professore associato della Business School dell’Università di Sydney e autore corrispondente della ricerca – . Questo perché l’eccesso può essere negativo rispetto agli anni precedenti a causa di fluttuazioni determinate da altre cause. Ci auguriamo che anche altri ricercatori analizzeranno da vicino i numeri reali, magari utilizzando dati più specifici, come quelli di particolari ospedali o regioni”.