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“Nel mondo fino a 850mila virus sconosciuti potrebbero infettare l’uomo”: l’allarme degli esperti

Il Consiglio intergovernativo per la prevenzione delle pandemie dell’Ipbes ha stimato che negli animali esistano altri 1,7 milioni di virus “non scoperti” di cui la metà potrebbe essere in grado di compiere il salto di specie e infettare l’uomo.
A cura di Valeria Aiello
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L’avvertimento arriva da un nuovo rapporto pubblicato dal Consiglio intergovernativo per la prevenzione delle pandemie dell’Ipbes, l’organizzazione indipendente di politica scientifica sulla biodiversità e servizi ecosistemici. “Senza un cambiamento nell’approccio globale alle malattie infettive – spiegano gli esperti – , future pandemie emergeranno con maggiore frequenza e si diffonderanno più rapidamente, arrecando più danni all’economia mondiale e uccidendo più persone di quanto stia facendo quella di Covid-19”. Un monito che deriva da “prove scientifiche schiaccianti” circa il legame tra “il degrado della natura e l’aumento del rischi pandemici” con gli esperti che concordano sul fatto che sfuggire all’era delle pandemie è possibile ma che questo richiederà un cambiamento radicale nell’approccio di reazione e prevenzione delle malattie infettive.

"Nel mondo fino a 850mila virus sconosciuti in grado di infettare l'uomo

Quella di Covid-19, si legge nel rapporto, è almeno la sesta pandemia sanitaria globale dalla pandemia di Spagnola del 1918 e, sebbene abbia avuto origine dal salto di specie di un nuovo coronavirus dal mondo animale all’uomo, come tutte le altre pandemie è dovuta alle attività umane.

Si stima – afferma il report – che nel mondo animale esistano altri 1,7 milioni di virus attualmente ‘sconosciuti’, di cui 850mila potrebbero essere in grado di infettare l’uomo”.

“Non c’è grande mistero sulla causa della pandemia di Covid-19 o di qualsiasi altra pandemia moderna – ha dichiarato il dottor Peter Daszak, zoologo britannico ed esperto di ecologia delle malattie infettive, in particolare di quelle che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo, nonché presidente del seminario dell’Ipbes – . Le stesse attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita della biodiversità determinano anche il rischio di pandemie attraverso il loro impatto sull’ambiente”. In particolare, dice Daszak, i cambiamenti nel modo di coltivare la terra, l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura, la produzione e il consumo insostenibile “interrompono il ciclo naturale, aumentando il contatto tra fauna selvatica, bestiame, agenti patogeni e persone. Questo è il percorso verso le pandemie”.

In tal senso, il rischio di pandemie future può essere notevolmente ridotto limitando le attività umane che portano alla perdita della biodiversità, attraverso una maggiore tutela delle aree protette e adottando misure in grado di mitigare lo sfruttamento delle regioni ad alta biodiversità. “Ciò ridurrà il contatto tra fauna selvatica, bestiame ed essere umani, aiutando a prevenire la diffusione di nuove malattie afferma il rapporto.

Abbiamo la capacità di poter prevenire le pandemie, ma il modo in cui le stiamo affrontando in questo momento ignora in gran parte questa capacità – ha aggiunto Daszak – . Il nostro approccio fa affidamento sul tentativo di contenere e controllare le malattie emergenti, attraverso vaccini e terapie. Sfuggire all’era delle pandemie richiede invece una maggiore attenzione alla prevenzione oltre che alla reazione”.

Il rapporto indica che “fare affidamento sulla risposta alle malattie dopo la loro comparsa”, adottando misure di salute pubblica e soluzioni tecnologiche, è un “percorso lento e incerto” che si traduce in una diffusa sofferenza umana e un danno di decine di miliardi di dollari l’anno per l’economia globale. A questo proposito il report suggerisce una serie di opzioni politiche che potrebbero aiutare a ridurre e affrontare il rischio di future pandemie, come l’istituzione di approcci unitari tra governi circa la preparazione e prevenzione delle malattie infettive, l’indagine e il controllo delle epidemie in tutti i settori, nonché la riduzione del rischio di malattie zoonotiche nel commercio internazionale di specie selvatiche e il rafforzamento dell’applicazione delle leggi sul commercio illegale di fauna selvatica ad alto rischio.

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