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Nel giorno del ricordo

Le Foibe, nome con cui in Venezia Giulia si indicano i profondi pozzi ed inghiottitoi carsici tipici della regione, furono la tomba di 10 000 vittime italiane, massacrate nell’ambito di una efferata “pulizia etnica”. Oggi si ricorda quell’eccidio.
A cura di Nadia Vitali
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Le Foibe, nome con cui in Venezia Giulia si indicano i profondi pozzi ed inghiottitoi carsici tipici della regione, furono la tomba di 10 000 vittime italiane, massacrate nell ambito di una efferata pulizia etnica.Oggi si ricorda quell eccidio.

Esistono concetti, come quello di etnia, usati troppo spesso a sproposito; non solo nel mondo della dis-informazione odierno, ma anche in tempi lontani dal nostro, per lo più in maniera strumentale, al fine di plasmare le masse, aizzarle alla violenza, spingerle all'odio verso un ipotetico «diverso» che di diverso non ha nulla, essendo egli stesso frutto di questa terra, forse del medesimo dio, comunque unito dall'identico destino di essere parte dell'umanità. Il caso delle foibe ne è espressione in maniera netta ed evidente, con tutto il lungo articolarsi di di eventi storici che hanno portato al tragico epilogo, semplicemente riassunto dal drammatico numero di 10 000 vittime, inghiottite dalle cavità carsiche che si contano a centinaia in Istria. Sì, perché c'è stato un tempo, pressappoco fino ai primi decenni del XIX secolo, in cui in tutta l'aera della Venezia Giulia, della Dalmazia e dell'Istria, popolazioni di lingua, cultura e religione differente convivevano tra loro: pacificamente o meno, qualunque tipo di piccolo conflitto nascesse non affondava certamente le radici in ideali quale il «nazionalismo», dal momento che, semplicemente, lì non esistevano nazioni separate.

ITALIANI E SLAVI – Un concetto come quello di «popolo» è, in verità, non un'identità statica e immune dal tempo, bensì un'idea estremamente fluida e mutevole; popolazioni sono state create ad hoc, molto spesso, per favorire interessi economici e strategici. Quando in Europa, come propaggine estremamente dannosa del Romanticismo, iniziarono a sorgere i «sentimenti nazionalisti», gli equilibri che reggevano le sorti di una convivenza tutto sommato pacifica, non poterono non iniziare a scricchiolare; si aggiunga a questo, la volontà di dominio sul mare Adriatico, conteso secolarmente tra oriente ed occidente, ed ecco che, lentamente, si crea quella che comunemente si definisce una «polveriera». Nacquero così rivendicazioni territoriali ed identitarie basate su presupposti per lo più inesistenti, dal momento che, in quel piccolo territorio fino a poco tempo prima, non si era in grado di stabilire un eventuale confine della «diversità»: quasi a testimonianza del fatto che, alla primitiva «lotta per la sopravvivenza e per le risorse» dei primi uomini sulla terra, non abbiamo fatto altro che aggiungere elementi ammantati di idealismo, nel tentativo di mascherare meglio la irresistibile tensione di alcuni tra noi al conflitto. Si separarono, così, inevitabilmente, due identità nette, scoprendosi acerrime nemiche. Gli «italiani», che nei territori della Venezia Giulia, della Dalmazia e dell'Istria costituivano, per lo più, l'élite istruita e facoltosa, si trovarono contrapposti agli «slavi» che rivendicavano diritti culturali e politici. La miccia fu accesa nel XIX secolo e, guardando allo svolgersi della prima parte del ‘900, non è difficile comprendere come situazioni assai simili si verificarono anche in altre aree del vecchio continente.

FOIBE, IL MASSACRO – Mentre imperversava in Europa e nel mondo il II conflitto mondiale, mentre in Italia si firmava quell'armistizio dell'8 settembre del 1943 che mutava improvvisamente il volto e la strategia della guerra, in quella piccola regione (come accadde su tutti i fronti in cui si trovavano i soldati italiani che, improvvisamente ed inconsapevolmente, avevano cambiato nemici ed alleati) si creò lo scompiglio tra le truppe disorientate che, tuttavia, finalmente vedevano profilarsi dinanzi il miraggio di abbandonare quei territori: in questo clima confuso, furono enormemente agevolate le milizie Jugoslave del maresciallo Tito nel prendere possesso dell'area. Seguì una prima ondata di violenza cieca, in cui, per dirla con le parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano prevalsero «giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali»: l'italiano divenne l'invasore da cacciare, come se un colpo di spugna avesse improvvisamente cancellato i secoli trascorsi gomito a gomito sullo stesso suolo. Crudeli esecuzioni, che ancora fanno rabbrividire, seguivano gli imprigionamenti o erano l'alternativa dei campi di concentramento Jugoslavi; nelle Foibe si finiva dopo essere stati uccisi ma anche da vivi, come hanno testimoniato i ritrovamenti, legati con il filo di ferro dopo essere stati posti sul margine di una cavità, trascinati giù dal peso del «compagno di morte».

IL GIORNO DEL RICORDO – Nel 2004 una legge istituì il 10 febbraio come giornata dedicata alla commemorazione delle vittime delle Foibe e, in generale, del massiccio esodo che riguardò i territori giuliano-dalmati. Si è trattato del frutto di un lavoro congiunto di tutte le parti politiche e, proprio per questo, andrebbe interpretato come un'occasione, guardando ad un passato di cui nessuno vuole più il ritorno, per iniziare a costruire un futuro in cui nessun tipo di classificazione, quale è quello etnico, possa costituire, nuovamente, l'occasione per i più potenti di mettere al proprio servizio masse spinte verso la cieca violenza. Nel ricordare i nostri connazionali barbaramente massacrati, guardiamo ad essi come vittime di miserabili logiche del potere e del denaro e, soprattutto, della barbarie umana che mai si stanca di ricevere sacrifici alla sua divinità: facciamo uno sforzo per liberarci dalle etichette «etniche» o «nazionaliste» che il passato ci ha affibbiato. Solo in questo modo, quando smetteremo di indicare l'«altro» in tutta la sua negatività per designare la nostra assoluta purezza, avremo offerto a quelle 10 000 vittime innocenti il ricordo più sincero e commosso, cominciando a costruire un mondo in cui, in alcun luogo, si ripeta qualcosa di anche lontanamente simile.


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