Mutazioni “silenti” potrebbero spiegare i casi gravi di coronavirus tra i giovani e sani
Dietro i casi gravi di COVID-19 rilevati fra i pazienti giovani e in salute potrebbero nascondersi mutazioni silenti nel genoma, in grado di rendere l'infezione sensibilmente più aggressiva e potenzialmente letale. Dalle indagini epidemiologiche condotte sulle popolazioni dei ricoverati, infatti, il paziente “tipo” colpito dalla forma acuta della patologia – e dunque con maggiori probabilità di morire – è una persona anziana (di sesso maschile) e con più malattie (comorbilità), in particolar modo patologie cardiovascolari, ipertensione e diabete. Ma il coronavirus, come specificato, può colpire in modo duro e letale anche persone giovani e giovanissime, in perfetta salute. Tutti ricordiamo il caso di Mattia, il “paziente 1” di Codogno, un trentottenne appassionato di atletica che ha trascorso oltre un mese nel reparto di terapia intensiva. Com'è possibile che alcuni sperimentino una forma asintomatica della COVID-19 e altri, forti e sani, rischino persino la vita?
Tra gli scienziati che stanno provando a dare una risposta a questa domanda vi è il genetista di fama internazionale Jean-Laurent Casanova, direttore dei laboratori di genetica umana e malattie infettive dell'Imagine Institute di Parigi e dell'Università Rockefeller di New York. Il ricercatore suggerisce che i pazienti giovani colpiti in maniera pesante dal coronavirus potrebbero avere mutazioni nel codice genetico in grado di favorire la malattia: “L'ipotesi è che questi pazienti presentino variazioni genetiche silenziose fino a quando non si incontra il virus”, ha sottolineato all'Agence France-Presse (AFP) lo studioso. Per provare a scovare queste mutazioni nascoste, Casanova ha fondato il COVID Human Genetics Effort, un consorzio con decine di laboratori di tutto il mondo per scandagliare il profilo genetico dei pazienti atipici, e trovare la potenziale chiave genetica che spossa spiegare la gravità dell'infezione. Nel frattempo si studia anche il genoma delle persone che sono state esposte più volte al virus ma non hanno contratto la malattia; questo gruppo, invece di presentare una vulnerabilità, potrebbe avere una mutazione nascosta che lo protegge, e gli scienziati vogliono capire quale.
Non sarebbe comunque la prima volta che variazioni genetiche siano in grado di proteggere da una malattia, o magari di renderci più esposti a conseguenze gravi. È stato ad esempio scoperto che rare mutazioni del gene CCR5 sono in grado di fare da “scudo” contro l'infezione del virus dell'HIV, responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Non è un caso che tra gli obiettivi principali dell'editing genetico vi sia proprio quello di intervenire sul genoma per replicare mutazioni di questo tipo, o magari “tagliare” quelle che determinano la vulnerabilità. Alcune mutazioni, ad esempio, possono rendere più suscettibili all'encefalite virale e ad altre patologie infettive (influenza compresa), pertanto non si esclude che possa esserci un meccanismo di questo tipo anche dietro alla COVID-19.
Il professor Jacques Fellay, docente di genomica umana di malattie infettive presso il Politecnico federale di Losanna (Svizzera), ha paragonato queste mutazioni genetiche a piccoli granelli di sabbia che si incastrano negli ingranaggi di un meccanismo complesso, come quelli di un orologio meccanico, e quando sollecitati possono scaturire effetti dirompenti. Per andare a caccia di queste mutazioni, naturalmente, servono collaborazioni molto ampie, trasversali e internazionali, in modo da raccogliere e analizzare quanti più genomi possibili e andare a cercare le differenze chiave. Da questi preziosi studi potrebbero emergere anche potenziali trattamenti terapeutici.