Misteriosa polmonite in Cina, l’esperto: “Preoccupazione, ma non c’è allarme”
In Cina è stato identificato in via preliminare un nuovo coronavirus responsabile di una polmonite potenzialmente letale, che ha già causato alcuni decessi. Il numero di contagiati, sulla base di quanto stimato dal MRC Centre for Global Infectious Disease Analysis presso l'Imperial College di Londra, sarebbe di circa 1.700 persone, sensibilmente superiore a quello indicato dalle autorità di Pechino, restie a fornire dati e informazioni precisi sull'infezione. Col Capodanno cinese alle porte, il rischio che essa possa diffondersi nel mondo non è da sottovalutare; del resto alcuni casi sono stati già accertati in altri Paesi asiatici. Al momento, tuttavia, si ritiene che la trasmissione tra uomo e uomo non sia efficace. Per saperne di più su caratteristiche e rischi sulla possibile diffusione di questa patologia abbiamo intervistato il professor Fabrizio Pregliasco, virologo presso il Dipartimento Scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano, Vice Presidente Nazionale dell’A.N.P.A.S. (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze) e Direttore Sanitario della Casa di Cura Ambrosiana SRL di Cesano Boscone. Ecco cosa ci ha raccontato.
Professor Pregliasco, cosa può dirci sul nuovo coronavirus recentemente scoperto in Cina? Dobbiamo iniziare a preoccuparci?
Io dico che al di là della preoccupazione che deve esserci in questi casi, nel senso di “attrezziamoci”, questo è un segno della capacità che c'è oggi nell'individuare piccoli focolai rispetto a situazioni che un tempo, magari, o rimanevano confinate in una indistinguibile generalizzazione di sindromi influenzali o ci beccavamo nella situazione più pesante, quando l'effetto era più trucido, diciamo così, come sono state le pandemie del passato. Perché le epidemie sono come gli incendi; iniziano da un focolaio (quello di adesso può essere considerato un focolaio), e come capita spesso, gli spezzoni trasportati dal vento, che in questo caso sono i viaggi e i trasporti che oggi sono “bestiali” in termini di velocità e numero di persone coinvolte, possono determinare una diffusione. È chiaro che quindi vedo il lato positivo di aver comunque individuato una patologia aspecifica. Perché tutto sommato una quota di queste persone ha una “influenzona” pesante, diciamo così, con mal di testa e altri sintomi, che va nell'indistinto calderone delle infezioni respiratorie di ogni inverno. Anche in Cina è periodo influenzale e tutto questo non aiuta di certo. In più sappiamo che ci sarà questo famoso capodanno cinese fra qualche giorno, che vorrà dire un travaso di persone da tutto il mondo verso quelle zone. Si stanno facendo degli interventi a livello degli aeroporti, ma da Wuhan (il luogo del focolaio NDR) partono già normalmente migliaia di persone ogni giorno, “sparate” in tutto il mondo. La situazione va tenuta sotto controllo nell'ottica della preoccupazione di cui parlavo. Preoccupiamoci di attrezzarci, ma nessun allarme.
Cosa ci può dire sull'origine del virus?
Come sempre non è un caso che questa situazione si sia verificata nel Sud Est asiatico, perché la vicinanza uomo animale è più usuale in termini numerici; gli animali vivi, ad esempio, vengono venduti al mercato. In questo caso si tratta di un mercato del pesce, ma anche di selvaggina. Il contatto è più frequente e gli interscambi fra specie di quelle che noi chiamiamo zoonosi è un qualcosa che abbiamo già visto. Ad oggi le informazioni si susseguono, ma non è ancora chiaro quale sia stato esattamente il serbatoio animale. I coronavirus sono tanti, hanno diverse specie animali come uccelli, pipistrelli, altri mammiferi, quindi ce n'è una certa quantità. I coronavirus girano tra diverse specie in modo molto pesante e la parte diffusiva a livello umano è solo una parte di queste varianti.
Cosa si sa sulla modalità e sul rischio di trasmissione? Come spiegato dall'Organizzazione della Sanità, questo virus “non si trasmette facilmente tra le persone”. Cosa significa?
Non è chiaro, ma sembra che appunto non ci sia una efficacia di trasmissione tra uomini, la parte che inquieta di più, e che però potrebbe subentrare successivamente. Non nell'istantaneo, perché i virus non è che hanno un'evoluzione su durata di ore o di giorni, però potrebbe esserci un adattamento all'uomo e partire male dal punto di vista del controllo, proprio perché essendo come l'influenza la malattia è per così dire “incontrollabile”. Ad oggi risulterebbe che solo il contatto diretto con l'animale possa innescare l'infezione, e che non ci siano casi secondari (o al massimo ci sia un piccolo numero di casi secondari). In pratica parto dall'animale e poi mi fermo, nella catena della trasmissione; nel senso che non trasmetto io, cioè subisco la malattia ma non contagio gli altri. La MERS ad esempio è interessante perché c'è da alcuni anni, ma non si sta diffondendo particolarmente proprio per l'incapacità – ad oggi – di avere questa efficacia di trasmissione interumana, che farebbe fare un “salto di qualità”, diciamo così, all'epidemia.
Sembra che la Cina sia restia a fornire informazioni più dettagliate sulla portata reale di questa infezione; lei pensa possa essere più virulenta della SARS che all'inizio del 2000 fece centinaia di morti nel Paese asiatico?
La Cina è sempre restia. Lo aveva fatto con la SARS e in generale. Loro hanno la “ragion di stato” che è molto efficace, per le possibili conseguenze industriali ed economiche. Di sicuro il numero dei contagiati è presumibilmente più elevato dei casi accertati. Ma proprio perché i casi accertati sono la punta dell'iceberg, in una situazione di infezione che in molti casi non è arrivata all'osservazione istituzionale. Magari in una remota provincia della Cina, nelle risaie, chi è che va a riconoscere un'influenza da un coronavirus, se il paziente sta bene, non muore e non ha sintomi eclatanti. Comunque no, non credo sia più virulenta, è più un aspetto di difficoltà, di una loro voglia di far sapere per i possibili rischi industriali. Lo abbiamo sperimentato anche in passato. Wuhan è una città industriale “spaventosa”, con milioni di abitanti, è chiaro che ci vanno con i piedi di piombo.
Quali potrebbero essere le soluzioni per contrastare il virus? Negli aeroporti si sta procedendo alla misurazione della temperatura dei viaggiatori. Alcuni casi sono stati già rilevati in Corea del Sud, Thailandia e Giappone; c'è il rischio per il resto del mondo?
Sicuramente lo sviluppo di un vaccino, ma ci vuole tempo, qualche anno. E interventi di sanità pubblica, come il controllo degli infetti, dei contatti. Quindi le misure un po' più draconiane del blocco dei soggetti a rischio. Sicuramente lo screening negli aeroporti è interessante, ma ovviamente ha una efficacia relativa. Ci sta anche per allertare, per creare attenzione sulla problematica. Il rischio di diffusione c'è, anche perché i viaggi intercontinentali – magari non diretti – arrivano facilmente.
Quali fattori potrebbero spingere questi virus a fare il salto dagli animali all'uomo?
Come sempre è un marketing, una guerra tra guardie e ladri. I virus sono parassiti assoluti e quindi cercano sempre di sfruttare degli organismi. Se trovano la variante giusta, efficace, proprio nell'ottica darwiniana del caso e della probabilità, questa ha poi ha uno spread nel nuovo target. I virus cercano esseri umani e non, mammiferi e altri animali da “beccare”, come in un mercato all'aperto.