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Un suicidio ogni 40 secondi: ecco la mappa della sconfitta

I soggetti a rischio cambiano di paese in paese, ma in generale prigionieri, migranti, rifugiati ed omosessuali sono maggiormente in pericolo.
A cura di Redazione Scienze
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Quello pubblicato il 4 settembre dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) è il primo rapporto mondiali sui suicidi e disegna una mappa di depressione e morte talmente allarmante da portare Margaret Chan, direttore generale della stessa organizzazione, a definire "la prevenzione del suicidio un'imperativo" dell'Oms e dei governi nazionali. In tutto il mondo muoiono 800.000 persone a causa del suicidio, il che equivale ad una media di un decesso ogni 40 secondi.

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[INGRANDISCI LA MAPPA]

Il rapporto si basa sui dati del 2012 e le condizioni economiche rappresentano un'importante, ma non unica, chiave di lettura dei moventi che spingono al gesto estremo. Il 75% di coloro che si tolgono la vita vivono in paesi a basso reddito, ma anche stati ricchi si trovano a dover fronteggiare emergenze simili. Il terzo paese con il maggior tasso di suicidi, ad esempio, è la Corea. Difficile poter stabilire un nesso diretto anche con la fascia d'età, dal momento che il maggior numero di suicidi si registra tra gli over 70, ma in alcuni paesi sono il numero preponderante di vittime è nella fascia di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Precisamente nei paesi a basso reddito sono maggiormente a rischio giovani e donne anziane, mentre nelle società a medio-alto reddito sono gli uomini over 50

E' possibile tuttavia riconoscere alcuni soggetti a rischio, che hanno vissuto particolari traumi o si trovano in condizioni di marginalità sociale. E' il caso, ad esempio, di migranti, rifugiati, prigionieri ed omosessuali. I metodi più frequenti, nell'ordine, sono l'avvelenamento, l'impiccagione e il colpo di arma da fuoco. Secondo alcuni riscontri in Australia, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Canada e Giappone, evitare l'accesso alle armi riduce il numero di suicidi. In generale, la necessità di prevenire questa causa di morte – la seconda tra i 15 e i 29 anni – sembra non rientrare tra le urgenze dei governi nazionali. Basti pensare che soltanto 60 stati prevedono sistemi di registrazione del fenomeno e solo 28 hanno firmato un piano strategico nazionale di prevenzione.

In Italia il fenomeno è in lieve flessione rispetto agli ultimi anni, ma comunque i numeri continuano a mantenersi al di sopra della media del periodo pre-crisi. I dati più recenti ci parlano di 4000 casi all'anno, contro i 3600 degli anni 2006 e 2007. E la fascia di età che ha fatto registrare il maggiore incremento è quella compresa tra i 25 e i 64 anni con un +12% tra gli uomini.

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