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Maniaco del selfie? Soffri di un disturbo psichico

Un autoscatto al giorno non è un dramma, ma se il numero sale si può soffrire di “selfite” borderline, acuta o cronica.
A cura di Redazione Scienze
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Un selfie di Justin Bieber da Twitter.
Un selfie di Justin Bieber da Twitter.

Maniaci dell'autoscatto in pose plastiche con espressioni affettatamente ricercate e con smartphone alla mano? Non state bene. Quello che poteva sembrare il giudizio impietoso di snob schivi è ora avvalorato da un giudizio medico dell'American Psychiatric Association (APA). I dottori hanno coniato un termine che descrive l'ossessivo del selfie, ovvero selfitis. La "selfite" rivelerebbe infatti una "mancanza di autostima e lacune nella propria intimità", tali da portare poi il soggetto a compensare l'immagine di sé attraverso la presenza artefatta e curata sui social network. Un'analisi che probabilmente andrebbe presa con le molle, vista la diffusione che il fenomeno sta ricoprendo nel mondo dei vip, nel quale l'autoscatto – non di rado "hot" – sembra ricoprire un ruolo in una strategia più strutturata di marketing personale.

Un selfie non vi qualifica come "fuori di testa", quindi. Gli psichiatri americani hanno provato a quantificare il numero di autoscatti giornalieri per poter individuare la soglia oltre la quale si paleserebbe un disturbo psichico. Vi sarebbe così la selfite borderline, di chi si fotografa almeno tre volte al giorno senza poi pubblicare la propria immagine, la selfite acuta, di chi si fa e pubblica almeno tre foto al giorno, e poi quella cronica, che porta il numero delle foto condivise a sei al giorno. Al momento, hanno ancora avvertito i medici, non esiste una cura specifica, ma se il problema risiede nell'autostima sarà probabilmente possibile guarire con un percorso di sedute ad hoc.

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