Lucy e gli altri ominidi: i fossili che raccontano una diversa evoluzione
Forse è solo un'ipotesi quella del paleoantropologo di origine etiope Yohannes Haile-Selassie, uno sguardo volto all'indietro, verso quel passato in cui noi non eravamo uomini e la Terra, così diversa da quella che siamo abituati a considerare come «nostra», fioriva in tutta la potenza esplosiva della natura. Tutto nasce dal ritrovamento dei resti di un piede parzialmente integro venuto alla luce in un sito chiamato Woranso – Mille, risalente a circa 3.4 milioni di anni fa, la medesima epoca da cui proviene lo scheletro dell'Australopitecus Afarensis più famoso al mondo, Lucy, nostra "antenata e progenitrice" rinvenuta ormai quasi quarant'anni fa nella stessa area geografica. La scoperta, i cui dettagli pubblicati dalla rivista scientifica Nature, sembrerebbe suggerire la presenza di diverse strade evolutive che avrebbero portato a scegliere la posizione eretta per deambulare sul suolo anziché arrampicarsi sugli alberi.
Vita arboricola al tempo degli ominidi – L'ultimo fossile che quel generoso tratto di Africa ha voluto restituirci è quel che resta di un piede con caratteristiche assai particolari: perché, a differenza di quanto accadeva nell'anatomia dell'Australopitecus Afarensis, esso presentava un grande dito opponibile in luogo dell'alluce che già Lucy possedeva ben allineato con le altre dita del piede, frutto di un adattamento che si era rivelato utilissimo per camminare eretti. Insomma, a quanto lascerebbe supporre lo studio, guidato da Haile-Selassie che da anni lavora alla Case Western Reserve University di Cleveland, in Ohio, il piede sarebbe appartenuto ad un ominide che, pur avendo convissuto con gli australopitechi già perfettamente bipedi, non aveva abbandonato la vita arboricola ma, anzi, si arrampicava ancora come si intuisce dalla presenza di quel grande dito così diverso. Le scimmie moderne, senz'altro, presentavano questa caratteristica ma tra gli ominidi il più giovane che si conosca con un piede strutturato in questa maniera, è l'Ardipithecus Ramidus, che visse circa 4.4 milioni di anni fa; come mostrato dalle impronte di Laetoli, venute alla luce in Tanzania nel 1978, l'australopiteco si trovava a camminare in posizione eretta già all'altezza di 3.7 milioni di anni fa.
L'evoluzione attraverso un dito – «Potrebbe trattarsi di una specie antichissima che tenacemente sopravvisse fino a circa 3.4 o 3.3 milioni di anni fa e che, forse, affondava le proprie origini indietro nel tempo, nell'epoca dell'Ardipithecus Ramidus. Necessariamente, però, non possiamo né inserirla nel genere Ardipithecus né tanto meno chiamarla Ramidus, dal momento che non abbiamo resti cranio-dentali da associare a questo piede» ha specificato l'autore dello studio, che ha anche evidenziato come le ossa sicuramente non appartengano ad una scimmia. Tuttavia, per quanto molti elementi dovranno ancora necessariamente essere chiariti in proposito, è innegabile il valore di questa scoperta che disegnerebbe uno scenario in cui, in un periodo che fu centrale per l'evoluzione dell'umanità, due linee separate di ominidi avevano adottato comportamenti locomotori contrastanti. In quest'ottica si intuisce come mai il «piede di Burtele» dal nome del luogo in cui, tra sedimenti argillosi, è stato ritrovato questo prezioso reperto, nella regione di Afar, a circa 500 chilometri da Addis Abeba, farà ancora parlare di sé: l'evoluzione di quella piccolissima porzione del nostro corpo chiarisce i dettagli della nostra storia più antica, in quel momento fondamentale in cui si preferì, alla vita sugli alberi, la possibilità di camminare sul suolo.