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Lo stile di vita tuo e di 27 tuoi amici sta uccidendo una persona

Analizzando i dati di un database progettato circa dieci anni fa per monitorare la distribuzione di beni e prodotti nel mondo, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati giapponesi dell’Istituto nazionale per gli studi ambientali ha determinato che i consumi dei Paesi del G20 provocano la morte di circa 2 milioni di persone ogni anno, a causa dello smog che ne deriva. In media lo stile di vita di 28 cittadini dei Paesi del G20 provocano la morte di una persona.
A cura di Andrea Centini
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L'inquinamento atmosferico derivato dai consumi dei Paesi ricchi del G20 provoca 2 milioni di morti ogni anno, circa la metà di quelli attribuibili allo smog. In media, i consumi di 28 cittadini dei Paesi ricchi determinano la morte di una persona. L'aspetto più inquietante di questo calcolo risiede nel fatto che a perdere la vita sono soprattutto coloro che vivono nei Paesi più poveri, dove si trovano le aziende che producono gli oggetti e gli altri beni alla base del nostro benessere. È un discorso non dissimile a quello della giustizia climatica chiesta da Greta Thunberg e dagli altri attivisti ambientalisti: a pagare il prezzo più alto dei cambiamenti climatici, infatti, attualmente sono soprattutto i Paesi nel Sud del mondo, a causa delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e altri gas a effetto serra generate dalle potenze economiche, a partire dalla Rivoluzione Industriale.

A determinare che i consumi dei Paesi del G20 sono responsabili della morte di 2 milioni di persone ogni anno è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Istituto nazionale per gli studi ambientali di Tsukuba (Giappone), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola di specializzazione in scienze energetiche dell'Università di Kyoto, dell'Istituto di ricerca per l'umanità e la natura, della Facoltà di Economia dell'Università di Kyushu, dell'Università Waseda e della Scuola di Fisica dell'Università di Sydney (Australia). Gli scienziati, coordinati dal dottor Keisuke Nansai, dirigente presso la Divisione Cicli dei materiali dell'ateneo nipponico, sono giunti alle loro conclusioni analizzando statisticamente i dati di Eora, un database progettato circa dieci anni fa per monitorare le catene di approvvigionamento in tutto il mondo. In questo modo il dottor Nansai e i colleghi hanno potuto mappare le emissioni legate al solo consumo, concentrandosi in particolar modo sul PM 2.5. Questo particolato sottile – il cui nome è dovuto al fatto che le particelle hanno un diametro uguale o inferiore ai 2.5 micrometri – è considerato uno dei più subdoli e pericolosi per la salute; essendo così piccolo, infatti, riesce a penetrare nei polmoni e nel flusso sanguigno, scatenando il cancro e un'ampia serie di patologie respiratorie e cardiovascolari potenzialmente fatali.

Dall'analisi dei dati è emerso chiaramente che il consumo in Paesi ricchi del G20 – come il Regno Unito e gli Stati Uniti – è responsabile di un numero significativo di morti premature in nazioni lontane come la Cina e l'India, dove si trovano molte aziende che producono prodotti per noi. “La maggior parte dei decessi si verifica nei Paesi in via di sviluppo e senza un coordinamento internazionale la situazione peggiorerà”, ha affermato in un comunicato stampa il dottor Nansai, che dirige il progetto Material Flow Innovation Research Program. Mentre la maggior parte dei Paesi è consapevole del proprio contributo nei livelli di PM 2.5 in atmosfera, spiegano gli scienziati, non c'è accordo su quale sia l'impatto di ciascun Paese e dunque quanto dovrebbe pagare per il danno che arreca. Gli esperti sottolineano che è molto più facile calcolare i livelli di PM 2.5 interni derivati dal traffico e dalle aziende, mentre è molto più complesso determinare quello che deriva dal consumo di prodotti creati in aziende lontane. “A differenza della produzione diretta, che colpisce prima la nazione produttrice e poi si diffonde oltre confine alle nazioni vicine, il PM 2,5 causato dal consumo può avere origine in nazioni lontane ed avere effetti trascurabili sulla nazione consumatrice”, spiegano gli esperti. Poiché i Paesi membri del G20 rappresentano più di tre quarti del commercio internazionale e della produzione economica mondiale, è indubbio che il loro impatto complessivo è sostanziale.

Dai calcoli è emerso che i consumi di 28 cittadini di uno dei Paesi del G20 provocano mediamente la morte di una persona. Non a caso i ricercatori giapponesi dell'Istituto nazionale per gli studi ambientali hanno provocatoriamente titolato il proprio comunicato stampa “Tu e i tuoi 27 amici ucciderete qualcuno”. Come indicato, l'impatto del PM 2.5 derivato dal consumo non è particolarmente significativo nei Paesi del G20, dove l'età media delle morti premature per smog è di circa 70 anni, mentre altrove, come in Sud Africa e Arabia Saudita, questa età media risulta inferiore ai 60 anni. Secondo i calcoli di Nansai e colleghi, circa 78mila dei 2 milioni di decessi per inquinamento atmosferico sono bambini con un'età inferiore ai 5 anni. Sono numeri drammatici, che pesano sulla coscienza di ciascuno di noi. I dettagli della ricerca “Consumption in the G20 nations causes particulate air pollution resulting in two million premature deaths annually” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Communications.

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