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L’immunità Covid varia da persona a persona: “Dura da pochi giorni a decenni”

Lo rivela un nuovo studio pubblicato su The Lancet che ha indagato sulla risposta immunitaria all’infezione: “Sensibili differenze individuali sia nella durata sia nella forza della protezione mediata dagli anticorpi neutralizzanti”.
A cura di Valeria Aiello
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Esistono sensibili differenze nella risposta individuale all’infezione da Sars-Cov-2, così come nella forza e nella durata della protezione mediata dagli anticorpi neutralizzanti. Lo ha scoperto un team di ricerca dell’Università Duke-NUS di Singapore che per sei mesi ha seguito un gruppo di pazienti Covid-19 che ha superato la malattia, monitorando i cambiamenti nella quantità di anticorpi neutralizzanti e anche della cosiddetta “avidità”, ovvero la forza con cui queste immunoglobuline si legano alle proteine virali.

Quanto dura l'immunità Covid

L’analisi, uno studio longitudinale i cui dettagli sono stati pubblicati sulla rivista The Lancet Microbe, indica che il livello di anticorpi diretti contro Sars-Cov-2 può variare notevolmente da persona a persona, diminuendo a ritmi diversi, con una longevità che differisce ampiamente da solo pochi giorni a diversi decenni, secondo quanto riportato dagli studiosi. Il team ha diviso i pazienti (164 persone) in cinque gruppi, a seconda della durata dei loro anticorpi diretti contro Sars-Cov-2, analizzando sia i livelli di immunoglobuline nel sangue, sia di cellule T e molecole di segnalazione (citochine) fondamentali nel controllo della maggior parte delle infezioni virali. Questi dati sono poi stati utilizzati in un algoritmo di apprendimento automatico per prevedere le traiettorie degli anticorpi neutralizzanti nel tempo.

Livello di anticorpi neutralizzanti nel tempo, misurato mediante l'inibizione percentuale con test di neutralizzazione del virus surrogato (sVNT)
Livello di anticorpi neutralizzanti nel tempo, misurato mediante l'inibizione percentuale con test di neutralizzazione del virus surrogato (sVNT)

Il primo gruppo, che non ha mai raggiunto livelli di anticorpi neutralizzanti tali da poter inibire la replicazione virale e chiamato anche gruppo “negativo”, comprendeva l’11,6% dei pazienti coinvolti nello studio. Il gruppo con “rapido declino” (26,8%) presentava invece un livello iniziale di anticorpi variabile, che diminuiva rapidamente nel tempo. Il gruppo “lento calante” (29%) è risultato per lo più positivo agli anticorpi a sei mesi, mentre il gruppo “persistente” (31,7%) ha mostrato pochi cambiamenti nel livello di anticorpi a 180 giorni. Infine, il gruppo a “risposta ritardata” (1,8%) ha mostrato un marcato aumento degli anticorpi neutralizzanti durante la convalescenza tardiva.

Nel complesso, in circa il 40% dei pazienti che avevano superato l’infezione non ha mai raggiunto il livello di anticorpi neutralizzanti considerato minimo per poter inibire la replicazione virale, mentre nel restante 60% questi anticorpi sono calati molto lentamente o non sono calati affatto. Solo in pochi casi sono invece continuati ad aumentare. Oltre alla quantità, i ricercatori hanno anche determinato l’avidità di questi anticorpi, osservando che può giocare un ruolo importante non solo nel determinare il livello anticorpale ma anche il declino nel tempo.

Il ruolo delle cellule T

Quantità e avidità di anticorpi sono stati ulteriormente correlati con gli altri marcatori immunitari (cellule T e citochine), rilevando che i pazienti testati, compresi coloro che appartenevano al gruppo “negativo”, mostravano un’immunità mediata dalle cellule T a sei mesi dall’infezione, confermando quanto osservato in studi precedenti per cui le persone possono essere ancora protette se hanno una robusta risposta delle cellule T quando il livello di anticorpi neutralizzanti è basso.

Secondo gli studiosi, la gravità dell’infezione potrebbe essere un fattore decisivo sulla longevità degli anticorpi neutralizzanti. “Questa può variare notevolmente ed è importante monitorarla a livello individuale – ha affermato il professor Wang Linfa del programma di Malattie infettive emergenti (EID) del Duke-NUS e autore corrispondente dello studio – . Questo lavoro può avere implicazioni nella comprensione della durata dell’immunità dopo la vaccinazione, che sarà parte dei nostri studi di follow-up”.

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