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Le varianti Covid nascono nei pazienti immunodepressi: ecco perché

La risposta immunitaria parziale può creare un ambiente favorevole alla selezione di varianti virali, in quanto il virus può continuare replicarsi per settimane o mesi, originando versioni altamente mutate e in grado di sfuggire al riconoscimento degli anticorpi.
A cura di Valeria Aiello
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Le varianti del coronavirus possono nascere da infezioni persistenti in soggetti con ridotte difese immunitarie, come gli immunodepressi. A riportare l’attenzione sull’origine delle varianti attualmente in circolazione e sul rischio che nuove versioni mutate emergano in futuro è un team di ricerca statunitense che ha coinvolto gli scienziati del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, della Johns Hopkins Bloomberg School of Medicine di Baltimora, del Military HIV Research Program degli Stati Uniti e dell’Istituto per la salute globale e le malattie infettive dell’Università della Carolina del Nord.

Gli studiosi hanno sollecitato una maggiore attenzione nei confronti dei pazienti a lungo positivi e che hanno una risposta immunitaria parziale: in queste persone, spiegano in un nuovo studio pubblicato su New England Journal of Medicine, il virus può continuare a replicarsi per settimane o mesi, originando versioni altamente mutate in grado di sfuggire al riconoscimento anticorpale. “La risposta immunitaria parziale osservata nelle persone immunodepresse – precisano nella pubblicazione – crea un ambiente unico per la selezione immunitaria di varianti evolutive ed è motivo di preoccupazione”.

Questa evoluzione virale è stata descritta in diversi casi clinici che hanno rivelato come nei pazienti immunodepressi l’infezione persistente possa favorire l’emergere di varianti virali. “Poiché a livello globale un grande numero di persone convive con l’immunodepressione innata o acquisita – evidenziano i ricercatori – l’associazione tra immunodepressione e generazione di varianti di Sars-Cov-2 altamente trasmissibili o più patogene richiede ulteriori strategie di delineazione e mitigazione”.

La comunità medica – ha affermato Larry Corey, virologo del Fred Hutch e corrispondente autore dello studio – deve sviluppare linee guida più precise per il monitoraggio, il trattamento e la prevenzione delle infezioni da coronavirus nei pazienti immunodepressi, sia per ridurre i rischi della malattia per questi pazienti sia la potenziale comparsa di varianti di preoccupazione”.

Tra le strategie da adottare, gli studiosi hanno sottolineato non solo l’importanza della vaccinazione ma, per i pazienti con una risposta inadeguata ai vaccini, anche l’uso di anticorpi monoclonali per prevenire l’infezione. Gli operatori sanitari, d’altra parte, dovrebbero monitorare le persone immunodepresse con infezioni persistenti, effettuando analisi di sequenziamento virale per rilevare la potenziale comparsa di nuove varianti di preoccupazione.

Agli sforzi di controllo virale, andrebbero inoltre affiancate campagne di informazione dedicate alle persone immunodepresse e che dovrebbero essere informate del rischio di eliminazione virale prolungato e dunque dell’importanza dell’autoisolamento. “L’infezione può persistere per settimane o mesi in individui immunocompromessi, portando a virus con una costellazione di mutazioni che a volte è simile alle attuali varianti di preoccupazione” ha osservato Morgane Rolland, genetista virale presso Walter Reed Army Institute of Research e autore senior dell'articolo. Guardando al futuro, i ricercatori ritengono che per controllare la pandemia “saranno necessari vaccini di nuova generazione che siano più efficaci contro le varianti e lo sviluppo di combinazioni di anticorpi che possano prevenire l’infezione nelle persone immunodepresse” oltre chiaramente all’identificazione di “trattamenti avanzati che possano fermare la replicazione virale, specialmente in queste popolazioni vulnerabili”.

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