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Le ostriche di importazione sono contaminate, i ricercatori: “Trovati numerosi inquinanti e batteri”

A lanciare l’allarme sono gli scienziati del Dipartimento di Ecologia e Biologia Evoluzionistica dell’Università della California che hanno identificato la presenza di una vasta gamma di agenti patogeni ed sostanze tossiche nelle ostriche importate dalla Birmania.
A cura di Valeria Aiello
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Le ostriche, uno dei frutti di mare più conosciuti e apprezzati nel mondo, rischiano di essere un pericoloso cocktail di contaminanti per i consumatori. È quanto scoperto dai ricercatori del Dipartimento di Ecologia e Biologia Evoluzionistica dell’Università della California che hanno identificato una vasta gamma di sostanze tossiche e agenti patogeni nelle ostriche importate dalla Birmania.

Ostriche di importazione contaminate, l'allarme dei ricercatori

Secondo quanto riportato in un nuovo studio pubblicato su Science of the Total Environment, nelle ostriche di nove barriere coralline situate a circa 60 chilometri da Myeik, una piccola città costiera del Sud-Est della Birmania, sono stati identificate 87 differenti specie di batteri, oltre la metà delle quali considerate una minaccia per la salute umana, e la presenza di almeno 78 diversi tipi di contaminanti, tra cui microplastiche, cherosene, vernici e integratori alimentari in polvere. “Mentre il 48% era costituito da microplastiche , molti altri contaminanti provenivano  da una varietà di materiali dell’applicazione umana derivati da carburanti, vernici e cosmetici” ha spiegato Joleah Lamb, uno degli autori della ricerca.

A preoccupare anche la presenza di contaminanti non sintetici, come quella di latte in polvere, che ha rappresentato il 14% degli inquinanti trovati. Risultati che, sottolineano i ricercatori, sebbene riferiti esclusivamente alle ostriche importate dalla Birmania, evidenziano sia i rischi dell’urbanizzazione costiera sia l’importanza di un’adeguata gestione delle acque reflue e piovane a livello globale perché circa la metà dei frutti di mare esportati in tutto il mondo proviene da Paesi in via di sviluppo. “È importante tenere presente che – sottolineano in una nota – gran parte del nostro pesce viene importato dall’estero, luoghi che potrebbero essere contaminati, sottolineando l’importanza di test adeguati e miglioramenti del monitoraggio della qualità delle acque costiere”.

I ricercatori non sanno ancora precisamente quanto le microplastiche incidano sulla salute umana. Alcuni di studi hanno suggerito che possano causare potenziali danni per l’uomo ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in un rapporto del 2019 ha dichiarato che “non ci sono prove sufficienti per indicare un rischio significativo per la salute umana” in considerazione degli attuali livelli di microplastiche contenuti nell’acqua che beviamo. Secondo gli esperti dell’OMS è improbabile che il corpo assorba particelle di dimensioni superiori ai 150 micrometri e che l’assorbimento di particelle ancora più piccole sia probabilmente abbastanza limitato. Future ricerche potrebbero far luce sulla questione, oltre a determinare i potenziali effetti sulla fauna selvatica: alcuni rapporti prevedono che entro il 2050 negli oceani ci sarà più plastica che pesci, una prospettiva che dovrebbe farci riflettere sull’importanza della raccolta differenziata e il suo ruolo nel ridurre la quantità di materiali plastici che finisce nei mari.

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