Le foreste distrutte dagli incendi in California potrebbero non ricrescere mai più
Larga parte delle foreste spazzate via dai devastanti incendi che hanno colpito la California in queste ultime settimane potrebbero non ricrescere mai più. A causa delle temperature sempre più elevate e dell'aria secca catalizzate dai cambiamenti climatici, infatti, i roghi continuano a susseguirsi con una frequenza allarmante, togliendo alle foreste la caratteristica resilienza che permette la ricrescita dopo le fiamme. La situazione è particolarmente drammatica sulle Montagne Rocciose meridionali, dove il riscaldamento globale ha letteralmente alterato i cicli naturali delle foreste; quelle distrutte dagli incendi vengono infatti sostituite da “semplici” praterie, con danni gravissimi alla fauna autoctona e all'intero ecosistema.
A lanciare l'allarme sull'impatto catastrofico degli incendi in California è stato un team di ricerca guidato da scienziati dell'Università del Colorado di Boulder, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Rocky Mountain Research Station di Fort Collins, dell'Università Statale del Colorado, dello US Forest Service Northern Region del Montana, dell'Università della Carolina del Nord e di altri istituti. Gli scienziati, coordinati dal professor Kyle C. Rodman, docente presso il Dipartimento di Geografia dell'ateneo del Colorado, sono giunti alle conclusioni dopo aver valutato gli effetti degli incendi in 22 diverse aree della California negli ultimi 30 anni, contemplando nella ricerca circa 2mila chilometri quadrati di terreno.
Dalle analisi delle immagini satellitari e condotte sul campo, Rodman e colleghi hanno osservato che la frequenza degli incendi sta determinando danni praticamente irreversibili alle foreste. A causa dei cambiamenti climatici in atto, solo la metà delle specie vegetali ha la capacità di ricrescere rigogliosa, e maggiore sarà l'impatto delle emissioni antropiche più ampio sarà il ventaglio delle specie incapaci di riprendersi. Le due più minacciate in assoluto risultano essere il pino giallo (Pinus ponderosa) e l'abete di Douglas (Pseudotsuga menziesii), come specificato in un comunicato stampa dal professor Rodman. Analizzando la distribuzione delle piantine dopo gli incendi e la ricrescita dopo roghi verificatisi anni fa, è stato determinato che solo la metà del terreno andato in fiamme delle Montagne Rocciose meridionali risulta fertile e idoneo per la crescita degli alberi. Nella maggior parte dei casi il migliore è quello che si trova a quote più elevate.
Studiando gli effetti di incendi verificatisi anche 15 anni fa, Rodman e colleghi hanno osservato che in alcune aree sino all'80 percento del terreno andato in fumo non è stato rioccupato da foreste. “Questo studio e altri mostrano chiaramente che la resilienza delle nostre foreste al fuoco è diminuita significativamente a causa di condizioni più calde e secche. Il vantaggio è che noi possiamo aspettarci un aumento degli incendi frequenti nel prossimo futuro, ma vedremo gran parte della nostra terra convertirsi da foresta a non foresta”, ha dichiarato il coautore dello studio Tom Veblen.
Gli scienziati americani hanno calcolato che se riusciremo almeno in parte a contrastare i cambiamenti climatici, entro il 2051 solo il 18 percento del terreno sarà adatto a ospitare il pino giallo e l'abete di Douglas; se invece non cambieremo i tassi di emissione di gas a effetto serra, allora la percentuale crollerà rispettivamente al 6,3 e al 3,5 percento. I dettagli della ricerca “A changing climate is snuffing out post‐fire recovery in montane forests” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Global Ecology and Biogeography.