Le espressioni facciali, un fatto culturale o una legge universale?
Contrarre o distendere i muscoli del viso, gesti talvolta totalmente involontari e che si articolano nell'arco di pochi istanti ma che hanno il potere di influire sull'ambiente circostante, di comunicare molto spesso anche quel che più di profondo c'è nella nostra anima. Ma come classificare le espressioni facciali? Come una mera funzione biologica, secondo quanto sosteneva Charles Darwin, oppure come un atto culturalmente condizionato che subirebbe in qualche modo l'influenza della società in cui si vive, come un linguaggio che, al pari di quello verbale, è strettamente dipendente dall'ambiente circostante? Una nuova ricerca pubblicata dalla rivista scientifica PNAS e guidata da Rachel E. Jack, neuropsicologa dell'università di Glasgow, ha cercato di approfondire la questione, coinvolgendo in un esperimento persone originarie di aree geografiche estremamente diverse, divise in due gruppi, Orientali ed Occidentali.
Guardare con occhi altrui –Un programma di grafica tridimensionale ha consentito agli studiosi di generare tutti i possibili movimenti facciali: posti dinanzi a 4800 combinazioni casuali di espressioni, provenienti da individui di diverse parti del mondo e dunque legate anche ai caratteri somatici, i 30 volontari sono stati invitati ad identificare l'emozione di ciascuna animazione e a valutarne l'intensità su una scala da uno a cinque. Combinando tali risultati con i concetti della grammatica generativa, per i ricercatori è stato possibile modellare la rappresentazione mentale di ciascun volontario di sei espressioni legate ai sei stati d'animo che, anche se non proprio unanimemente, gli scienziati reputano di base: felicità, sorpresa, paura, rabbia, disgusto e tristezza. Insomma, grazie ad un accurato lavoro, era possibile guardare attraverso gli stessi occhi dei soggetti che si sono prestati all'esperimento.
Uno sguardo sostituisce un'espressione? – Il confronto ha consentito di rilevare come esisterebbero delle differenze forti tra Orientali ed Occidentali nel modo di lasciar trasparire i moti della propria interiorità attraverso quelli del volto: anzitutto, per gli individui di origine asiatica non ci sarebbe una distinzione molto netta tra le sei emozioni, eccezion fatta per felicità e tristezza, mentre gli occidentali rappresentavano ciascuna delle sei espressioni con una serie ben precisa di movimenti facciali. Questo accade perché, secondo punto rilevante della ricerca, per gli Orientali buona parte della comunicazione mimica sarebbe incentrata sull'attività dinamica degli occhi e sullo sguardo. Conclusioni ben distanti dall'essere prese come una nozione scientifica inattaccabile ma, comunque sia, riflessioni che possono aiutare a comprendere molto del mondo che ci circonda e di quelle sensazioni che, materializzandosi sui volti per qualche istante, necessitano talvolta di strumenti adeguati per essere comprese, soprattutto quando appartengono a persone molto lontane. In fondo lo studio stesso è la prova del nostro approccio "occidentalecentrico": forse prima ancora di scoprire come Occidentali ed Orientali codificavano le emozioni, sarebbe stato ancora più interessante indagare per conoscere quali sono gli stati d'animo provati, arrivando magari a scoprire che anche quelli hanno impercettibili sfumature che ci rendono incredibilmente distanti gli uni dagli altri.