Le capsule di caffè potrebbero rilasciare sostanze che alterano gli ormoni, secondo uno studio
Ogni anno nel mondo vengono vendute oltre 10 miliardi di capsule di caffè, piccoli contenitori in plastica o alluminio da inserire in apposite macchine che nel giro di pochi anni – grazie a comodità e rapidità d'uso – hanno letteralmente spodestato la tradizionale moka. Dietro a questi indubbi vantaggi, tuttavia, si nasconde (neanche troppo) un significativo problema per l'ambiente, dato che le capsule standard non sono considerate riciclabili e impiegano centinaia di anni per essere smaltite. Solo per queste ragioni chi è sensibile alle questioni ecologiche dovrebbe rivolgersi senza indugio ai nuovi modelli sostenibili e riutilizzabili, oppure ripiegare verso altri metodi, tuttavia potrebbe esserci anche un'altra ragione per evitare le capsule. Ricercatori americani hanno infatti scoperto sostanze estrogeniche nel caffè ottenuto da quelle in plastica. In parole semplici, a causa dei processi che si innescano quando la capsula viene portata a pressione e temperatura elevate, potrebbero essere rilasciati composti chimici – chiamati interferenti o perturbatori endocrini – in grado di contaminare la polvere di caffè e, una volta ingeriti, interferire col nostro sistema ormonale. Queste sostanze infatti “mimano” la struttura degli ormoni e possono alterare determinati meccanismi.
A rilevare questo potenziale rischio delle capsule in plastica, tutto da confermare con indagini più approfondite, è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del Dipartimento di Scienze della Nutrizione e del Center for Environmental Sciences and Engineering dell'Università del Connecticut, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'azienda CertiChem Inc. di Austin (Texas). Gli scienziati, coordinati dai professori Junichi R. Sakaki e Ock K. Chun, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver sottoposto sei capsule di caffè in plastica a una specifica analisi di laboratorio, chiamata test di attivazione trascrizionale del recettore degli estrogeni VM7Luc4E2. Per analizzare ulteriormente l'attività estrogenica è stato sfruttato un altro test chiamato cromatografia liquida ad ultra prestazioni con spettrometria di massa tandem. Dalle indagini è emerso che “tutti i campioni di caffè in capsule possedevano attività estrogenica”, come indicato nell'abstract dello studio, tuttavia tale attività risultava piuttosto debole, pertanto l'eventuale impatto sulla salute è da valutare con attenzione. Tra i perturbatori endocrini rilevati nelle capsule esaminate figurano bisfenolo A, bisfenolo F, benzofenone, 4-nonilfenolo, dibutilftalato e dimetiltereftalato. Ricordiamo che nell'Unione Europea ci sono leggi diverse dagli USA; il bisfenolo A, ad esempio, è stato bandito da anni nei Paesi della UE.
I perturbatori endocrini come le PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) sono stati associati a effetti negativi sullo sviluppo del feto, sulla salute delle donne incinte e sulla fertilità, oltre che a diverse altre malattie, cancro compreso, tuttavia è ancora troppo prematuro per puntare il dito contro le capsule di caffè dopo questo studio, i cui risultati sono solo preliminari e come indicato andranno confermati da indagini più approfondite. “Il caffè in capsule ha mostrato attività estrogenica in vitro e il suo contenuto chimico estrogenico probabilmente sta determinando la sua estrogenicità”, scrivono Sakaki e colleghi nell'abstract dello studio; ciò giustifica “ulteriori indagini per comprendere appieno il grado in cui sono correlati e per prevedere il potenziale estrogenico in base alla concentrazione di sostanze chimiche estrogeniche”, concludono i ricercatori. I dettagli della ricerca “Estrogenic activity of capsule coffee using the VM7Luc4E2 assay” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Current Research in Toxicology/PubMed.gov.