La variante inglese del coronavirus potrebbe essere fino al 70% più mortale, secondo questo studio
La variante inglese del coronavirus SARS-CoV-2 potrebbe avere una mortalità fino al 70 percento superiore rispetto al lignaggio originale. Identificata a settembre dello scorso anno nell'Inghilterra sudorientale, questa variante è divenuta quella dominante in diverse regioni britanniche in poche settimane, inoltre si è diffusa velocemente anche in decine di altri Paesi (Italia compresa). A causa della notevole trasmissibilità, tra il 30 e il 50 percento superiore rispetto al ceppo originale di Wuhan, gli scienziati stimano che entro marzo 2021 potrebbe diventare la principale in molte nazioni. Non è un caso che si sia tornato a parlare di lockdown totali e preventivi per tenere a bada questa e le altre varianti preoccupanti, spingendo al contempo il più possibile la campagna vaccinale. I nuovi dati che giungono dal Regno Unito suggeriscono che contenere il più possibile la circolazione della variante inglese (nota come B.1.1.7 o Variant of Concern 202012/01 – VOC-202012/01) possa salvare moltissime vite, dato che come indicato sarebbe caratterizzata da un tasso di mortalità significativamente maggiore.
Ad annunciarlo è stato il team di esperti del New and Emerging Respiratory Virus Threats Advisory Group (NEVRTAG), un ente di ricerca multidisciplinare che assiste il governo britannico nella gestione della pandemia di COVID-19. Gli scienziati hanno raccolto e analizzato i dati provenienti da diversi studi, e hanno concluso che la variante inglese potrebbe avere una mortalità compresa tra il 30 e il 70 percento superiore rispetto alle altre varianti “non preoccupanti” in circolazione. Sebbene si tratti di dati non definitivi che andranno ulteriormente analizzati (anche perché alcune indagini non hanno rilevato differenze significative), questi nuovi risultati sembrano confermare quando dichiarato da Boris Johnson nel mese di gennaio. L'Università di Exeter, ad esempio, nei pazienti con variante inglese ha osservato un rischio di mortalità 1,7 volte superiore (IC 95%: 1,3 – 2.2) rispetto ai pazienti COVID senza di essa. La London School of Hygiene & Tropical Medicine ha rilevato invece che, a 28 giorni dal contagio, i pazienti con variante inglese avevano un rischio relativo di morire per COVID 1,58 volte superiore (IC 95%: 1,40 – 1,79) rispetto agli altri. L'Imperial College di Londra ha osservato una mortalità maggiore di 1,36 volte, mentre la Public Health England (PHE), l’Agenzia governativa del Dipartimento della Sanità e dell’Assistenza sociale del Regno Unito, mettendo a confronto la mortalità fra una coorte di pazienti COVID con variante inglese con un'altra senza la B.1.1.7, ha rilevato che i primi avevano un rischio maggiore di morire di 1,65 volte (IC 95%: 1,21 – 2,25). Ricercatori dell'Intensive Care National Audit and Research Centre (ICNARC) e del QRESEARCH, infine, hanno rilevato un rischio di finire in terapia intensiva 1,44 volte superiore per i pazienti con variante inglese.
Come indicato, non tutte le indagini analizzate hanno portato a risultati così evidenti. Ad esempio, i ricercatori impegnati nello studio The Hospital Onset Covid Infection (HOCI) hanno osservato una mortalità "soltanto" 1,09 volte superiore per i pazienti con variante inglese, mentre gli scienziati del COVID-19 Clinical Information Network (CO-CIN) non hanno evidenziato differenze nella mortalità ospedaliera. A causa dei diversi limiti nei dati utilizzati, come indicato dal team NEVRTAG andranno condotte indagini più approfondite. Tuttavia hanno aggiunto che “queste analisi indicano che probabilmente la variante B.1.1.7 sia associata a un aumento del rischio di ospedalizzazione e morte rispetto all'infezione da coronavirus non-B.1.1. 7”. Ad oggi non è nota la causa della presunta letalità superiore della variante inglese, ma tra le ipotesi vi è quella di una maggiore carica virale nei pazienti infettati (che com'è noto è associata a esiti più infausti). Non resta che attendere i risultati di indagini più ampie e approfondite per avere la certezza dei risultati. Ricordiamo che ad oggi, in base alla mappa interattiva dell'Università Johns Hopkins, dall'inizio della pandemia nel Regno Unito sono stati registrati oltre 4 milioni di contagi e 118mila decessi (in Italia si registrano 2,7 milioni di infezioni complessive e 93.577 morti).