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La storia del colera raccontata da un piccolo cimitero toscano

Come si è evoluto il batterio della malattia attraverso il tempo? Potrebbero raccontarcelo alcune sue vittime morte secoli fa.
A cura di Nadia Vitali
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Una vittima di colera a Parigi
Una vittima di colera a Parigi

Un gruppo multidisciplinare di ricercatori, dell'Università di Pisa e della Ohio State University, sta lavorando ad un antico cimitero con la speranza di trovare in esso le chiavi per comprendere l'evoluzione di un batterio che, durante la metà del XIX secolo, seminò morte e distruzione in Europa, dopo un lungo viaggio che lo portò lontano dalla sua culla originaria, nelle acque del fiume Gange.

Cercando il Vibrio cholerae

Gli studiosi hanno condotto alcuni scavi che hanno interessato le sepolture attigue all'abbazia abbandonata di Badia Pozzeveri, in Toscana, a caccia di tracce del Vibrio cholerae, noto per essere il batterio che causa il colera. Il sito contiene, infatti, i corpi di numerose vittime dell'epidemia diffusasi intorno al 1850 appositamente collocati in una sezione separata. Gli archeologi e gli studenti scavano ormai da quattro anni qui dal momento che questi resti umani sono preziosissimi: oltre a dirci molto su come la gente viveva in questo angolo di Europa, potrebbero rivelarci tantissimo anche a proposito della loro morte. Clark Spencer Larsen, antropologo a capo del gruppo di ricerca, ha infatti specificato che i resti del cimitero toscano rappresentano i meglio conservati di vittime del colera relativamente a questo periodo storico.

A giudicare dallo stato in cui si trovavano al momento del ritrovamento, i ricercatori possono affermare che i cadaveri vennero frettolosamente sepolti, coperti con della calce che si è indurita attorno alle povere membra di quegli uomini, probabilmente in un tentativo degli abitanti del posto di fermare la diffusione del male la cui origine, all'epoca, era ancora sconosciuta (gli studi di Roberto Koch, infatti, risalgono agli anni 1880). Fatto sta che quella calce ha aiutato incredibilmente nella conservazione e non soltanto per le ossa e gli altri resti umani: essa ha infatti intrappolato al suo interno anche il suolo circostante contenente il DNA dei batteri e di altri organismi che vivevano negli uomini sepolti.

Dalla storia del colera una possibile cura

Al momento, il professor Hendrik Poinar della canadese McMaster University di Hamilton sta analizzando tutti i campioni di suolo a caccia delle tracce del famigerato Vibrio cholerae in qualità di esperto di DNA antichi: non ha ancora ritrovato il batterio ma è decisamente fiducioso nella possibilità di riuscirci, dato che sono state già individuate tracce di altri DNA associati agli umani. Guardare al batterio, così come si presentava quasi due secoli fa, può essere fondamentale per comprendere come si è evoluto nel tempo, grazie al confronto con il DNA del batterio odierno; e magari anche per valutare l'ipotesi di nuovi approcci terapeutici per una malattia che continua ad uccidere ancora oggi.

Granada, circa 1850: roghi organizzati dalla popolazione nel tentativo di disinfettare le strade durante l'epidemia di colera
Granada, circa 1850: roghi organizzati dalla popolazione nel tentativo di disinfettare le strade durante l'epidemia di colera

Una finestra sul passato

Il sito dell'abbazia contiene moltissime informazioni relative non soltanto all'epidemia di colera: esso sorge, infatti, su un monastero fondato nel 1056, successivamente abbandonato nel 1408, mentre la Chiesa è stata utilizzata fino a circa cinquant'anni fa. Diversi cimiteri circondano le rovine, come una finestra aperta sulla vita degli uomini comuni che nei secoli si sono succeduti in questo villaggio: un «microcosmo» di quanto accadde in questo angolo d'Italia che, facilmente, può diventare immagine dei grandi eventi che viveva l'intera Europa. Inoltre, la posizione geografica del sito ne faceva una tappa per molti pellegrini lungo il percorso della via francigena: il che ne accresce ulteriormente l'interesse.

Basti pensare alle sepolture che accolsero le persone durante gli anni 1347-1353, vittime della Peste Nera che, secondo gli storici, arrivò ad uccidere circa un terzo della popolazione europea del tempo. Ma gli scheletri possono narrare molto altro, di morti dovute a cause meno drammatiche (e non note come fenomeni globali) che restano comunque di grande interesse per la ricerca. In generale, da resti così ben conservati si possono ricavare informazioni riguardanti la vita quotidiana, lo stato di salute della popolazione generale, le condizioni igienico-sanitarie, le abitudini alimentari, con tutte le implicazioni sociologiche e storiche che questi dati portano con essi.

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