La solitudine è questione di genetica: perché alcuni hanno bisogno degli amici e altri no
Ti senti solo? Vai al pub o frequenti il gruppo della chiesa? Potrebbe essere "colpa" dei tuoi geni. È un assunto oramai medico che le relazioni sociali e la solitudine abbiamo un impatto pesante sulla salute e il decorso delle malattie, sopratutto negli anziani. Sentirsi solo è considerato un fattore di rischio paragonabile al fumo o all'obesità e aumenta drasticamente la mortalità in tutte le malattie. Tre ricercatori della School of Clinical Medicine dell'Università di Cambridge sono andati a ricercare i tratti genetici che selezionano i tuoi comportamenti sociali.
Alla ricerca dei geni. Attraverso i dati raccolti dalla Bio-banca del Regno Unito, hanno incrociato le abitudini e i dati medici di quasi 500.000 inglesi con i loro geni. Felix Day, Ken Ong e John Perry, per tracciare le ragioni biologiche che porterebbero a un comportamento sociale segnato dall'isolamento, hanno posto 3 domande: la solitudine percepita, la frequenza delle interazioni sociali e la capacità di confidarsi con qualcuno, per poi utilizzare GWAS (indagine genetica di diversi individui di una particolare specie per determinare le differenze geniche). In maniera simile si sono mossi per le altre rilevazioni, cercando di capire se i geni determinano non solo la solitudine, ma anche la nostra socialità.
Un comportamento gia scritto. Grazie a questa ricerca sono stati identificate 15 sequenze genetiche, probabilmente associate alla solitudine. Gli esaminati che presentavano questa variazione genetica, dichiaravano molto più spesso degli altri di sentirsi soli. Per quanto riguarda invece a chi piace uscire a divertirsi, incrociando i dati con le domande, gli studiosi hanno trovato le sequenze che ci spingono ad incontrare gli amici al pub e addirittura quelle che ci renderebbero dei perfetti uomini di chiesa, partecipando alle attività sociali della parrocchia (ben 18). Questa ricerca che può sembrare priva di interesse ha invece lo scopo di capire e predire il comportamento dei pazienti, contrastando sul nascere il fattore di rischio della solitudine, magari con programmi di assistenza appositi.