La seconda dose con il vaccino di Pfizer dopo Astrazeneca può aumentare la risposta immunitaria
Davanti alla possibilità di non somministrare il vaccino di Astrazeneca al di sotto dei 60 anni per i rari casi di trombosi associati alla carenza di piastrine, in Italia si sta ipotizzando di cambiare strategia vaccinale per chi ha già ricevuto la prima dose del siero anglo-svedese, utilizzando un vaccino a mRNA per il richiamo. La possibilità di modifica del programma vaccinale è già stata decisa in Canada e anche diversi Paesi europei stanno raccomandando l’uso un vaccino diverso per la seconda dose in alcuni pazienti.
Seconda dose con Pfizer dopo Astrazeneca
I primi dati, riporta una review pubblicata sulla rivista Science, suggeriscono che l’approccio potrebbe essere effettivamente vantaggioso. In particolare, in tre recenti studi, i ricercatori hanno scoperto che la somministrazione di una dose del vaccino di Astrazeneca e il richiamo con il vaccino di Pfizer “produce forti risposte immunitarie”. Due di questi studi indicano inoltre che “la risposta al mix di vaccini sarà protettiva almeno quanto due dosi del prodotto Pfizer-BioNTech”.
I test hanno riguardato solo alcune delle potenziali combinazioni di vaccini anti-Covid ad oggi disponibili. Ma se il mix si dimostrerà sicuro ed efficace, potrebbe accelerare la possibilità di immunizzazione per proteggere miliardi di persone, ritengono gli esperti. “Questa possibilità apre nuove prospettive per molti Paesi” ha affermato Cristóbal Belda-Iniesta, specialista in ricerca clinica presso il Carlos III Health Institute di Madrid. I Governi, ad esempio, potrebbero distribuire immediatamente nuove dosi senza preoccuparsi di mettere da parte seconde dosi di vaccini specifici da somministrare settimane o mesi dopo.
Nel dettaglio, nello studio spagnolo condotto da Belda-Iniesta su 448 persone che hanno ricevuto una dose del vaccino Pfizer-BioNTech 8 settimane dopo la prima somministrazione di AstraZeneca, sono stati evidenziati pochi effetti collaterali e una forte risposta anticorpale a due settimane dalla seconda iniezione. “Tutti i 129 campioni di sangue testati potrebbero neutralizzare la proteina Spike – la chiave che il coronavirus Sars-CoV-2 utilizza per legare e infettare le cellule umane” hanno riportato i ricercatori in uno studio pubblicato in preprint su The Lancet.
Analogamente, Leif Erik Sander, esperto di malattie infettive presso l’ospedale universitario Charité di Berlino, e colleghi hanno osservato che 61 operatori sanitari, che hanno ricevuto la prima dose di Astrazeneca e la seconda di Pfizer-BioNTech a distanza di 10-12 settimane, hanno prodotto anticorpi contro la proteina Spike a livelli paragonabili a quelli riscontrati in un gruppo di controllo che ha ricevuto due dosi di Pfizer-BioNTech con un intervallo standard di 3 settimane, senza mostrare alcun aumento degli effetti collaterali.
Ancora più incoraggianti sono stati i risultati riguardo alla risposta immunitaria cellulo-mediata (linfociti T), che può aumentare la risposta anticorpale e aiutare a eliminare le cellule già infette: le analisi hanno indicato che le persone che hanno ricevuto la prima dose di Astrazeneca e la seconda di Pfizer-BioNTech hanno avuto una risposta leggermente migliore nei confronti della proteina Spike rispetto a chi è stato completamente vaccinato con Pfizer. Un terzo team di ricerca, che ha condotto uno studio di dimensioni più ridotte a Ulm, in Germania, ha ottenuto risultati comparabili. Entrambe le indagini sono state pubblicate in preprint su MedRXiv.
“Due vaccini diversi possono essere più potenti di entrambi i vaccini da soli” ha affermato Dan Barouch del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, negli Stati Unti, che ha contribuito a sviluppare il vaccino monodose prodotto da Johnson & Johnson. Questo siero, come il vaccino AstraZeneca a due dosi, sfrutta un adenovirus non replicante come vettore virale per introdurre il Dna che codifica per la proteina Spike di Sars-CoV-2 nelle cellule. I vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna utilizzano invece l’RNA messaggero (mRNA) che codifica per la proteina Spike.
Secondo i ricercatori, la combinazione di due diversi vaccini potrebbe fornire al sistema immunitario un diverso modo per riconoscere l’agente patogeno. “I vaccini mRNA sono davvero, davvero ottimi nell’indurre risposte anticorpali e i vaccini basati su vettori sono migliori nell’innescare le risposte delle cellule T” ha aggiunto Sander.
In attesa di ulteriori dati nella prossime settimane, sulla promettente validità dell’utilizzo combinato concorda anche Matthew Snape, un esperto di vaccini dell’Università di Oxford, pur avvertendo che il miglioramento nella risposta delle cellule T potrebbe derivare da un intervallo di dosaggio più lungo piuttosto che dalla combinazione dei due sieri.