La NASA accusa la Cina di gestire irresponsabilmente il rientro dei razzi: rischiamo altri incidenti
La rocambolesca caduta libera dello stadio centrale del razzo cinese Long March 5b è si è conclusa poco dopo le 5 del mattino (ora italiana) nell'Oceano Indiano, a poca distanza dalle Maldive. Il rientro è stato confermato dall'agenzia aerospaziale cinese, dal Comando di Difesa Aerospaziale del Nord-America (NORAD), dall'EU Space Surveillance and Tracking (EU SST) e da altri enti deputati al controllo dei cieli. Gli USA, ad esempio, utilizzano satelliti con sensori a infrarossi per determinare il luogo in cui si sprigiona la grande energia scaturita dall'attrito con l'atmosfera di tali oggetti. Fortunatamente i detriti sopravvissuti al rientro non hanno provocato danni a cose e persone. Del resto, come preannunciato a fanpage dall'astrofisico Gianluca Masi, le probabilità di impatto su luoghi abitati erano assai remote, in virtù della preponderanza delle acque rispetto alle terre emerse sul nostro pianeta. Ma il fatto che il pericolo sia scampato di certo non cancella il problema della gestione dei detriti spaziali da parte della Cina, che apparentemente non si preoccupa di farli deorbitare in modo corretto e dunque di programmare un rientro controllato.
Basti pensare che nel maggio 2020 lo stadio centrale di un identico razzo “Lunga Marcia” si schiantò su un villaggio della Costa d'Avorio, un incidente che ebbe scarsa eco mediatica solo a causa della pandemia di COVID-19 alle sue prime fasi. Gli esperti ritengono che la Cina lasci cadere deliberatamente e senza controllo la spazzatura spaziale derivata dai propri lanci, oppure che provi a controllare i rientri ma non ci riesca. Fatto sta che entro il 2022 saremo esposti altre volte a rischi di questo genere, perché il Paese asiatico, col lancio dei giorni scorsi, ha inviato nello spazio – con successo – soltanto il primo dei moduli della nuova stazione spaziale Tianhe. Dunque altri verranno effettuati entro l'anno prossimo per completare il laboratorio orbitante, sempre con razzi Long March 5b. Se non cambierà qualcosa nella gestione dei futuri lanci, ci troveremo di nuovo in balia della situazione vissuta in questi ultimi giorni. Si tratta di una situazione inaccettabile per scienziati e governi, per diverse ragioni: dalla noncuranza per la salute pubblica ai rischi per le altre missioni spaziali, passando per i potenziali danni ambientali.
A scagliarsi contro la Cina è la NASA, per voce del nuovo amministratore Clarence William "Bill" Nelson, ex astronauta (volò sullo Space Shuttle) e senatore. “Le nazioni che viaggiano nello spazio devono ridurre al minimo i rischi per le persone e le proprietà sulla Terra a causa del rientro di oggetti spaziali e massimizzare la trasparenza riguardo a tali operazioni. È chiaro che la Cina non riesce a soddisfare gli standard responsabili per quanto riguarda i propri detriti spaziali”, ha tuonato il successore di Jim Bridenstine in una dichiarazione. “È fondamentale che la Cina e tutte le nazioni e le entità commerciali che viaggiano nello spazio agiscano in modo responsabile e trasparente per garantire la sicurezza, la stabilità, la protezione e la sostenibilità a lungo termine delle attività nello spazio”, ha concluso Nelson.
Da circa 30 anni le principali agenzie aerospaziali non progettano rientri incontrollati di oggetti con una massa superiore alle 10 tonnellate, proprio perché grossi pezzi possono sopravvivere all'attrito con l'atmosfera e precipitare sulla Terra. La maggior parte dei satelliti e degli altri mezzi spaziali viene fatta precipitare nel cosiddetto “Punto Nemo”, un'area estremamente remota dell'Oceano Pacifico dove non si può arrecare danno. La Cina, come dimostrano i casi più recenti, compreso quello della caduta libera nel 2018 della stazione spaziale Tiangong-1, evidentemente non si preoccupa di eventuali rischi confidando delle basse probabilità di impatto. Ma molti esperti stanno chiedendo l'introduzione di una legge internazionale affinché venga vietato qualunque tipo di lancio potenzialmente rischioso.