La mummia con le Adidas e la fervida fantasia dei blogger
La mummia trovata a Turkik, in Mongolia a 2.803 metri di altitudine sui monti Altai, fa parlare di sé in Rete grazie alle sue calzature che ricordano delle Adidas. L’annuncio della scoperta è stato dato dal Siberian Times.
Così non ci vuole molto perché per i siti sensazionalisti la foto di quelle scarpe diventi una prova che i viaggi nel tempo sono possibili. Del suo aspetto al momento non si sa molto, gli antichi resti sono ben avvolti nel feltro. I ricercatori del Khovd Museum non sembrano sconvolti dalle sue scarpe, quanto per il fatto che si tratterebbe della prima sepoltura Turkik completa trovata in Asia centrale.
Stando ai ritrovamenti non doveva essere una persona appartenente ad una classe particolarmente agiata. Si suppone che fosse una donna perché tra i suoi oggetti non è stato trovato alcun arco. Diversi gli ornamenti funebri accanto al corpo: una sella, delle briglie, un vaso d’argilla, una ciotola di legno, un bollitore in ferro, i resti di un cavallo e quattro diversi Dool, capi tipici della Mongolia.
Tutti sembrano concordi nel datare i resti 1.500 anni fa, nessuno vede nulla di strano nelle calzature, di cui per altro ci è pervenuta solo una foto. Del resto le differenze con la marca di scarpe in questione dovrebbero essere evidenti ad un occhio minimamente scettico: le bande bianche della scarpa sinistra non sono tre ma almeno quattro; l’inclinazione delle stesse è diversa da quella tipica dei modelli a noi noti; la suola è pressoché inesistente; nella scarpa destra sono ben visibili dei motivi totalmente diversi.
Del resto è davvero curioso che chiunque si sia preoccupato di preparare la sepoltura abbia scordato le calzature; si potrebbe pensare piuttosto che qualcuno si sia preoccupato di rimuoverne le suole, per motivi difficili da dedurre. Escludiamo che possa trattarsi di un virale a scopo pubblicitario, se non del lavoro degli archeologi mongoli.
Non è la prima volta che una interpretazione superficiale e totalmente fuori contesto ci porta a vedere oggetti fuori dal tempo. E' il caso della Oop art (Out-of-place artifact). Citiamo a titolo d'esempio la presunta protesi del sacerdote egizio Usermontu che si è rivelata essere una vite inserita dopo il decesso dagli imbalsamatori; oppure il caso dei crononauti casertani, i quali durante una festa avvenuta negli anni '50 sembravano recare all'orecchio un cellulare, invece molto probabilmente si trattava delle prime radioline in commercio. Molto gioca anche il fenomeno della pareidolia, che ci porta a dare un senso a qualsiasi cosa vediamo, anche se magari non abbiamo le conoscenze sufficienti per saperle contestualizzare e interpretare in maniera adeguata. Così è sufficiente che un paio di mocassini antichi rechino delle strisce bianche in sfondo nero, per vederci delle moderne scarpe da tennis.