La metafora di un mondo destinato a naufragare
Nel corso di quel lungo secolo che ci separa dal disastro del Titanic sono stati in molti a sottolineare, con l'occhio disincantato ed attento di chi guarda al passato, come quella catastrofe sembrasse la nitida metafora di un mondo destinato a naufragare anch'esso, travolto dalla forza e dalla violenza degli eventi nonché dalla superbia dell'uomo che si crede, ancora una volta, capace di sfidare il Fato, la Natura o Dio, come si preferisce. Sarà che la lontananza nel tempo conferisce quella patina color seppia agli episodi, ancor più se storicamente importanti ed emotivamente coinvolgenti come fu l'affondamento del Titanic, rendendoli quasi retorici racconti dal valore magico-simbolico, impregnati di significati che sfuggono a chi la storia la sta effettivamente vivendo. Eppure, quel che accadde in quella sciagurata notte tra il 14 ed il 15 aprile del 1912, quando l'inaffondabile andò a fondo nel giro di neanche tre ore, lasciandosi dietro urla disperate in una scia di morte, disperazione e detriti disseminati negli abissi marini, non può non richiamare immediatamente il dramma più nero verso il quale il mondo intero si stava avviando, con tutta la baldanza concessa dalla Belle époque. Non conoscendo, ancora, quale orrore poteva essere generato dalle nuove conoscenze scientifiche nelle mani dell'uomo.
I miti di quella Grecia antica in cui affondiamo direttamente le radici della nostra civiltà sono pieni di episodi in cui la presunzione umana di farsi pari o meglio della divinità viene punita sempre nel nel più tragico dei modi: il dramma del Titanic sembra discendere proprio dai medesimi insegnamenti. L'ottimismo dei primi del ‘900, la fiducia quasi accecata in una scienza che avanzava fiera a passi da gigante illudendo l'uomo di poter essere finalmente in grado di sfidare anche il caso che, da sempre, determina i singoli destini di ciascuno; e che, al contempo, lusingava i moderni europei e statunitensi al pensiero di essersi liberati, grazie al progresso, di tutte le proprie meschinità e brutalità che, tuttavia, restano parte indissolubile della propria semplice e amara umanità. Eredità di un Positivismo, anch'esso già tramontato. Come non collegare questo sentire collettivo del mondo occidentale ai terribili errori di valutazione precedenti anche al momento in cui il transatlantico più famoso di tutti i tempi si staccò dal molo di Southampton il 10 aprile del 1912, per dirigersi verso la terra promessa del futuro?
Probabilmente il disastro del Titanic è stato uno dei più documentati e studiati in assoluto di tutta la storia; di non tutti i tragici accadimenti, anche molto più recenti, siamo in grado di individuare tanti dettagli e di conoscere tutto o quasi a proposito delle cause, degli errori, delle fatalità e delle relazioni tra questi elementi che portarono al verificarsi del naufragio. Negligenze, disattenzioni, illimitata fiducia nelle capacità tecniche raggiunte dall'uomo, ormai capace di duellare a viso aperto con la sorte e con i limiti terreni imposti dalla natura: ciascun singolo aspetto è stato passato al microscopio della storia, spesso sospirando «se si fosse agito diversamente!». Era il 1912, non c'era solo l'inaffondabile Titanic a sancire l'ormai indiscutibile predominio umano su forze fino ad allora incontrollabili: da pochi decenni, o anche da pochi anni, il mondo stava iniziando a familiarizzare con realtà impensabili quali la possibilità di comunicare via radio, di sfidare le tenebre grazie all'elettricità o, addirittura, di volare tra i cieli.
Gli occidentali vedevano dinanzi a sé delinearsi con sempre maggiore chiarezza i profili di un futuro radioso a cui guardare con entusiasmo, incautamente, come spesso accade. Perché gli errori commessi dall'armatore e dall'equipaggio concorsero allo stesso modo a dar vita a quella catastrofe indimenticabile che fu l'affondamento del Titanic. Annegati assieme ad esso le velleità progressiste, il sogno di una nuova immortalità, di un uomo finalmente prossimo alla divinità, due anni dopo il mondo entrava nell'incubo del primo conflitto mondiale. Destati dal sogno di poter solcare le acque ubriachi dello champagne del benessere per tutti, gli uomini si riscoprivano feroci, bisognosi e desiderosi di combattere l'ennesima crudele guerra. Nell'immaginario collettivo, costruito in un secolo di documentari, racconti e film, i gentleman che lasciano il posto a donne e bambini, quel Capitano che impartisce l'ultimo ordine di suonare prima di morire anch'egli con la propria nave dopo aver assicurato molte vite alle scialuppe, i lampadari scintillanti di prima classe e le porte chiuse per i passeggeri di terza in disperata attesa del proprio riscatto americano, tutto ugualmente finì travolto dalle acque gelide della notte. I sogni infranti di tutta una società e di un'intera epoca finirono su un fondale di 4000 metri.