La mappa genetica della Gran Bretagna
Si dice che la popolazione britannica sarebbe il risultato della fusione tra i Celti, preesistenti, e le popolazioni di stirpe germanica degli Angli e dei Sassoni che giunsero in Britannia a partire dalla fine del V secolo: una contrapposizione tra due gruppi distinti che, oltre a peccare decisamente nell'analisi e a semplificare al massimo processi storici complessi, non ha neanche un preciso fondamento biologico. Lo ha dimostrato un interessante studio pubblicato dalla rivista Nature che ha analizzato il genoma delle diverse popolazioni del Regno Unito giungendo a conclusioni inattese.
Un'istantanea del XIX secolo
Per indagare nel passato delle isole britanniche, sono stati prelevati i campioni del DNA di 2.039 persone residenti in aree rurali: una caratteristica essenziale per prendere parte alla ricerca era poter dimostrare che tutti e quattro i propri nonni erano nati in un’area compresa entro gli 80 chilometri; questo per risalire direttamente al DNA degli avi che erano nati prima dei grandi movimenti migratori del XX secolo. Insomma, i ricercatori guidati dal professor Peter Donnelly, direttore del Wellcome Trust Centre for Human Genetics, andavano alla ricerca di una fotografia del DNA delle campagne britanniche del XIX secolo. Strumenti statistici hanno consentito di comparare il DNA dei partecipanti con un livello di precisione privo di precedenti: è stato così possibile isolare 17 gruppi distinti corrispondenti fortemente con precise aree geografiche.
I Vichinghi in Gran Bretagna
Ad esempio, gli abitanti delle isole Orcadi, arcipelago a nord della Scozia, risultano estremamente differenti dagli altri gruppi; e gli abitanti della Cornovaglia, ancora, si distinguono fortemente dai loro “vicini” del Devon secondo una linea che sembra essere quasi perfettamente sovrapponibile al confine geografico tra le due contee. I ricercatori hanno successivamente comparato ciascun gruppo con campioni di DNA appartenenti a 6.209 persone provenienti da 10 diversi paesi europei che sono noti per aver fornito popolazione alle isole britanniche attraverso flussi migratori. Si è giunti così a rintracciare la “firma” degli avi norvegesi, presente per un 25% nel patrimonio genetico degli abitanti delle Orcadi e riconducibile, quindi, all'invasione dei vichinghi scandinavi del IX secolo che non rimpiazzarono la popolazione bensì, evidentemente, si incrociarono con questa. Curiosamente, però, è stato notato che non è rimasto nulla di genetico della dominazione dei vichinghi danesi delle aree settentrionali ed orientali (nel Danelaw) dell’Inghilterra tra il IX e l’XI secolo.
Popolazione "originaria" contro invasori?
Tornando invece ai celti e agli anglosassoni, lo studio ha evidenziato come non esista un singolo gruppo genetico identificabile come “celtico”. Le regioni del Regno Unito identificabili come celtiche (Scozia, Irlanda del Nord, Galles e Cornovaglia) mostrano infatti una elevata varietà genetica al loro interno che comporta, ad esempio, che gli abitanti della Cornovaglia siano più simili ad altri gruppi inglesi anziché a quelli scozzesi e gallesi. Il lavoro ha inoltre dimostrato che la migrazione anglosassone ha contribuito in parte a costruire il patrimonio genetico attuale per una percentuale che va dal 10 al 40%, facendo così chiarezza in quella che viene definita ancora una «controversia storica». È evidente, infatti, che le popolazioni germaniche non rimpiazzarono quelle precedenti con le stragi e le razzie ma ebbero scambi che hanno lasciato un segnale impresso nel corredo genetico dei loro discendenti isolani.
Differenze linguistiche e genetiche
Per quanto riguarda i gallesi, essi sono più simili delle altre popolazioni britanniche ai primi uomini che dopo l’ultima era glaciale, quindi circa 10.000 anni fa, si insediarono nell'isola. Gli stessi abitanti del Galles possono essere suddivisi in due gruppi corrispondenti a quelli identificabili con la linea di Landsker che, per quasi un millennio, ha separato i parlanti inglese dai parlanti gallese. Le analisi sembrano suggerire che un secondo flusso migratorio, successivo a quello seguito alla fine dell’era glaciale ma precedente all'età romana, avrebbe portato nuovo corredo genetico che si sarebbe distribuito tra Scozia, Inghilterra e Irlanda del nord ma con scarso impatto sul Galles.
Come al tempo degli Angli e dei Sassoni
Il professor Mark Robinson, archeologo della Oxford University che ha lavorato al progetto, ha spiegato che «I risultati danno una risposta ad una domanda che non pensavamo avremmo mai potuto fare in precedenza riguardante il grado di sopravvivenza dei britannici dopo il collasso dell’Impero Romano e la venuta dei Sassoni». In generale è curioso – ma estremamente affascinante – osservare come i 17 cluster genetici individuati rimandino geograficamente ancora agli insediamenti dei gruppi e dei regni esistenti attorno al VI secolo, ossia immediatamente dopo l’arrivo degli Anglosassoni: tribù e regni che mantennero, evidentemente, la propria identità regionale inalterata per secoli, prima che intervenissero le grandi trasformazioni su scala mondiale del XX secolo.
[Immagine centrale via Wikipedia]