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La mano bionica si controlla con la mente

Può raggiungere livelli di precisione straordinari: è stata impiantata su tre pazienti.
A cura di Nadia Vitali
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I successi di scienza e tecnologia consentono oggi di realizzare protesi sofisticate al punto da arrivare quasi a sostituire parti del corpo con una raffinatezza che, fino a pochi decenni fa, era semplicemente inimmaginabile. Di protesi high-tech per gli arti inferiori abbiamo parlato già in passato, mentre è recentissima la notizia del successo dell’impianto in tre pazienti di mani artificiali che possono essere comandate con il pensiero, raggiungendo elevatissimi livelli di precisione. Ne ha scritto la prestigiosa rivista The Lancet, spiegando che si tratta del primo caso di intervento di questo tipo.

La tecnica innovativa della «ricostruzione bionica»

I tre uomini in questione avevano subito danni permanenti al plesso brachiale, ossia a quella parte di sistema nervoso periferico incaricata di trasmettere gli impulsi a braccio ed avambraccio, consentendone i movimenti: la tipologia di lesione, conseguente rispettivamente ad incidenti di moto, sportivi e di arrampicata, non consentiva più l’uso della mano. Si è così scelto di procedere ricorrendo ad un metodo del tutto innovativo, attraverso un dispositivo che è in grado di captare i segnali nervosi che restano dopo che il trauma ha fatto perdere l’uso dell’arto al paziente.

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Il trattamento chirurgico prevede due fasi: la prima mira all'identificazione dei segnali nervosi residui attraverso degli elettrodi nel plesso brachiale: per lo più si tratta di impulsi estremamente flebili che non consentono di muovere la mano ma potranno tuttavia comandare l’arto artificiale, una volta che questo sarà stato collegato all'avambraccio. Dopodiché, un impianto di muscoli e cellule nervose provenienti da altre parti del corpo (come le gambe) ricrea la nuova rete necessaria per trasmettere i segnali. I pazienti vengono sottoposti ad un particolare tipo di “allenamento” finalizzato all'apprendimento del controllo cognitivo di questi segnali, dopodiché si procede con l’amputazione dell’arto non funzionante e con l’impianto della protesi circa sei settimane dopo.

Una protesi che non è una protesi

In realtà per questa innovativa tecnica di «ricostruzione bionica», come è stata battezzata, bisogna parlare per la precisione di collegamento, dato che la protesi non viene connessa alle strutture ossee del paziente. Le settimane successive sono dedicate alla riabilitazione, durante la quale i pazienti mettono a punto le tecniche imparate durante la fase di training. Dopo tre mesi, ciascun paziente ha mostrato di riuscire nuovamente ad utilizzare la propria mano artificiale per svolgere azioni di precisione estrema, come versare dell’acqua, abbottonare gli abiti o scrivere. Gli interventi sono stati eseguiti tra l’aprile del 2011 e maggio del 2014 presso la facoltà di medicina dell’Università di Vienna dal gruppo guidato dal professor Oskar Aszmann dell'Università di Vienna in collaborazione con l'italiano Dario Farina, direttore del Dipartimento di ingegneria della neuro-riabilitazione all'Università di Göttingen.

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