La macchina dei ricordi entra in Tribunale e fa condannare l'imputato
Il parallelo col poligrafo, o con quella che più comunemente è chiamata macchina della verità, è quasi scontato. Ma le metodologie neuroscientifiche Iat (Implicit Association test) e Tara (Time Antagonistic Response Alethiometer) sperimentate in Italia per la prima volta per un caso giudiziario, non mirano a capire se l'imputato sta mentendo o meno, ma piuttosto a far emergere la memoria autobiografica inconscia. Dunque l'obiettivo è quello di stabilire se il ricordo di un determinato evento è realmente dentro colui che lo narra.
Il caso è quello di una stagista di Cremona vittima delle molestie sessuali di un commercialista. La ragazza è stata sottoposta dal Professor Giuseppe Sartori, dell’Università di Padova, a cinque test sulla sua vita e sulla situazione per cui si è arrivati al Tribunale. In particolare sono state simulate le scene che esattamente riproducevano il momento in cui sarebbe avvenuta la molestia (ad esempio, la ragazza mentre lavorava al pc). Tecnicamente l'esperimento si basa sui tempi di reazione essenziali a classificare delle frasi rappresentative dei punti di criticità dei ricordi (per esempio indicandole come vere o false), elaborati poi da algoritmi matematici.
«La logica è quella della compatibilità dei ricordi: minori sono i tempi di reazione, maggiore è l’attendibilità. È un po’ come accade quando si guida con le gambe nella giusta posizione o a gambe incrociate: nel primo caso le performance saranno sicuramente migliori che nel secondo, con i riflessi per così dire rallentati» ha spiegato a Wired lo stesso ancora Sartori. In altre parole, si cerca di estrapolare dalla mente della vittima qualche conferma nascosta, inconscia, meno verificabile concretamente.
Ma quanto è attendibile un test simile? L'Implicit Association Test ha un'affidabilità del 92% e sulla sua accettabilità come prova scientifica si discute ancora animatamente. Lo stesso giudice che ha emesso la sentenza evidenzia che questo procedimento può provare che la persona conserva una certa immagine mentale, ma attenzione: quel «vissuto» non corrisponde certamente all'«accaduto». In ogni caso il giudice ha ritenuto valido il test ai fini della condanna ad un anno del commercialista, essendo i risultati della "macchina dei ricordi" un contributo di credibilità a quanto dichiarato ripetutamente dalla vittima.
Lo Iat «Non è una prova, probabilmente il giudice sarebbe arrivato alle stesse conclusioni – aggiunte Sartori – lo Iat è stato solo uno strumento in più, che si è inserito nel quadro complessivo. Lo Iat era già stato utilizzato in un processo penale, ma è la prima volta che viene riconosciuto anche come un aiuto, una conferma alle altre prove».