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La carne alla brace aumenta il rischio di cancro

Mangiare carne una volta al giorno è un’abitudine che ricalca la dieta seguita dagli statunitensi. Una strana acquisizione culturale, dato che “noi campiamo più dei cittadini d’Oltreoceano”.
A cura di Danilo Massa
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E' una di quelle cose che si sa ampiamente, che ciclicamente viene ripetuta e che talvolta avvia buoni propositi da parte di chi ascolta. Eppure, ciononostante, la carne continua a rappresentare un elemento abusato nella nostra dieta. Un abuso che, oltre a presentare problemi di ordine etico (allevamento intensivo), costituisce un pericolo per la nostra salute. Un pericolo quantificato con una certa precisione da più studi medici: "la carne cotta alla brace aumenta il rischio di cancro al colon retto del 70 per cento. È dagli anni '80 che è noto. Il secondo dato scientifico è che il grasso animale aumenta dell'30 per cento il rischio di tumore al seno". A parlare, in un'interessante intervista a Giornalettismo, è Mario Pappagallo, giornalista scientifico del Corriere della sera e coautore con l'oncologo Umberto Veronesi di "Verso la scelta vegetariana".

Ma niente estremismi, avverte l'autore, perché "siamo onnivori […] abbiamo bisogno di tutto e ricordarci che però siamo prevalentemente mangiatori di ortaggi". Bisogna semplicemente stare attenti agli eccessi, a cui anche l'italiano si abbandona nonostante nella sua tradizione vi sia la ricchezza vegetale della dieta mediterranea. Contro la sua stessa tradizione, l'italiano tende sempre di più a consumare carne una volta al giorno, attestandosi su un consumo di 800 grammi a settimana contro un fabbisogno al massimo di 450 grammi. Eppure, osserva ancora Pappagallo, è "risaputo che un'alimentazione ricca di frutta e verdure eviterebbe nel 20-33% dei casi un tumore al polmone, nel 66-75% un carcinoma gastrico, nel 33-50% un tumore al seno, nel 66-75% un tumore del colon e del retto".

La stessa carne bianca, che per molti è sinonimo di magrezza – quasi a stabilire una parentela con il pesce più che con la carne stessa – va in realtà rivalutata in base all'estensione della pratica dell'allevamento in batteria. Pur continuando ad essere una qualità più magra di carne, in realtà non si discosta così tanto da quella rossa se si considera che i polli, ad esempio, non razzolano più, ma sono costretti a stare fermi aumentando la propria massa grassa. Anche qui, dunque, alla crudeltà della pratica si aggiunge un effetto dannoso sull'uomo.

E se quella sensazione selvatica, primordiale, della carne alla brace sembra suggerire una modalità di cottura dopotutto non così dannosa, ecco che Pappagallo frena: il problema

è il sistema di combustione e bruciatura del sangue. Si crea sulla carne quella crosticina che dà sapore alla brace. Ecco, quella parte non va troppo bruciacchiata ma cotta nei tempi dovuti. Cotta, ad una fiamma non viva e tenuta ad una certa distanza. Ancora peggio se la brace è di carbonella e non di legna.

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