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La carenza di vitamina D aumenta il rischio di gravi malattie e mortalità

Lo indicano i risultati di un nuovo studio pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology: “Prove genetiche suggeriscono una relazione causale tra i livelli di vitamina D e la mortalità”.
A cura di Valeria Aiello
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C’è un nesso causale tra la carenza di vitamina D e il rischio di gravi malattie croniche e mortalità per tutte le cause. Lo indicano i risultati di un nuovo studio pubblicato da un team di ricerca guidato dall’Università di Cambridge, nel Regno Unito, che ha valutato il ruolo dei livelli di vitamina D nello stato di salute generale.

L’indagine, la prima a fornire una prova definitiva del fatto che la vitamina D protegga dalle malattie cardiovascolari e dalla mortalità, ha preso in esame i dati della UK Biobank, dell’European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC) e della Vitamin D Studies Collaboration, esaminando i dati sanitari di 386.406 persone di mezza età di origine europea e senza condizioni cardiovascolari al basale, ciascuna seguita per una media di 9,5 anni.

Tutti i partecipanti allo studio sono stati sottoposti a regolari prelievi di sangue per l’analisi dei livelli di 25-idrossivitamina D [25(OH)D], il principale biomarcatore clinico dello stato della vitamina D, ovvero dell’apporto di vitamina D nell’organismo dall’esposizione solare o attraverso la dieta. Oltre a ciò, i ricercatori hanno anche studiato le varianti genetiche ereditarie che predispongono a livelli più elevati di vitamina D per comprendere come abbiano inciso sulla salute delle persone. Nel complesso, durante il periodo di studio, 33.546 persone hanno sviluppato malattie coronariche, 18.166 hanno avuto un ictus e 27.885 sono decedute.

L’analisi, pubblicata nel dettaglio su The Lancet Diabetes & Endocrinology, ha indicato che coloro che avevano una predisposizione genetica ad alti livelli di vitamina D non mostravano alcuna associazione con malattie coronariche, ictus o morte per tutte le cause. Le persone che carenza di vitamina D (definita come inferiore a 25 nmol/l) avevano invece un forte legame tra la predisposizione genetica a livelli più elevati di vitamina D e minor rischio di mortalità. Gli studiosi hanno anche osservato un legame tra la predisposizione genetica a livelli superiori di 10 nmol/l di 25(OH)D e un rischio di mortalità per tutte le cause inferiore del 30%.

Si tratta di un’associazione non lineare per la 25(OH)D geneticamente predetta – ha spiegato al Medical News Today il professor Robert Scragg, responsabile della School of Population Health presso l’Università di Auckland, in Nuova Zelanda, che non è stato coinvolto nello studio – . Per quanto ne sappiamo, questo è il primo studio a fare questo tipo di analisi per valutare una tale associazione non lineare”. Il fatto che l’effetto sia stato osservato principalmente nelle persone con livelli di 25(OH)D inferiori a 25,nmol, ha aggiunto Scragg, chiarisce inoltre il perché recenti studi clinici abbiano indicato risultati contrastanti “poiché non avevano abbastanza partecipanti con livelli di 25(OH)D molto bassi”.

Ad ogni modo, gli autori della ricerca hanno concluso che le prove genetiche suggeriscono una relazione causale tra le concentrazioni di 25(OH)D e la mortalità nelle persone con bassi livelli di vitamina D, sebbene abbiano evidenziato alcune limitazioni ai risultati della loro analisi, a partire dalle caratteristiche della popolazione presa in esame, essendo formata solo da individui di mezza età con origini europee. Questo potrebbe significare che i risultati non siano generalizzabili, sottolineando la necessità di ulteriori analisi su persone appartenenti a diverse popolazioni.

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