L’Italia celebra Bruno Pontecorvo, il fisico che passò al “nemico”
Lo chiamavano il “cucciolo” di Via Panisperna. Dei ragazzi che componevano il dream team al Regio Istituto di Fisica dell’Università di Roma, che comprendeva nomi come il futuro premio Nobel Enrico Fermi, Ettore Majorana, Edoardo Amaldi ed Emilio Segré, Pontecorvo era il più giovane. Era nato il 22 agosto 1913 a Marina di Pisa e, dopo gli studi superiori, aveva deciso di spostarsi a studiare fisica a Roma, dove non avrebbe potuto trovare un’accoglienza migliore: era stato Fermi in persona, di dodici anni più anziano, a esaminarlo per farlo diventare membro di quel gruppo di ricerca che avrebbe rivoluzionato la fisica sub-atomica. Bruno Pontecorvo entrò a far parte dei ragazzi di via Panisperna a Roma nel 1934. Se oggi il suo enorme contributo alla comprensione dell’infinitamente piccolo non è noto quanto quello di Fermi, fu solo perché nel 1950 decise di sparire nel nulla, per poi ricomparire in Unione sovietica, dal lato “sbagliato” della cortina di ferro, almeno dal punto di vista dell’Occidente. Fieramente comunista, Pontecorvo fece il gran passo che probabilmente gli impedì di ricevere il Nobel per le sue scoperte. Oggi, a cento anni dalla nascita, la comunità scientifica italiana si prepara a celebrarlo in grande stile.
I neutroni lenti
A via Panisperna, negli anni ’30, si lavorava sulla radioattività. All’epoca, ancora nessuno immaginava realisticamente che di lì a poco quelle ricerche avrebbero portato al progetto Manhattan e alla realizzazione della bomba atomica. Ma Pontecorvo diede un contributo decisivo in tal senso, praticamente per caso. Facendo esperimenti nella fontana dell’istituto con Amaldi, Pontecorvo si rese conto che l’acqua produceva un significativo aumento della radioattività di alcuni elementi se sottoposti a bombardamento con i neutroni. La stessa cosa avveniva se si usava la paraffina come filtro. Fu Enrico Fermi a rendersi conto che l’idrogeno contenuto nell’acqua e nella paraffina rallentava i neutroni, i quali in tal modo finivano con l’interagire maggiormente con l’elemento bersaglio, producendo una reazione più efficace. I cosiddetti “neutroni lenti”, come vennero battezzati, avrebbero avuto un ruolo decisivo nella nascita dell’era atomica: oggi tutti i reattori nucleari impiegano l’acqua o la grafite come moderatori della reazione nucleare, per produrre la fissione controllata.
Fu Oscar Mario Corbino, che dirigeva il gruppo di via Panisperna, ed era stato più volte ministro negli anni ’20 (pur senza prendere la tessera fascista), a esortare i colleghi a brevettare la scoperta. Proprio quel brevetto sarebbe stato la principale causa della scelta di Pontecorvo di passare all’URSS. Grazie al premio ottenuto dal Ministero per l’Educazione Nazionale per la scoperta, e a una lettera di raccomandazione di Fermi, Pontecorvo si trasferì a Parigi per lavorare alle ricerche sulla radioattività con i coniugi Joliot-Curie (Irène Curie era la figlia di Marie Curie). I due erano convintamente comunisti, e Pontecorvo familiarizzò con quelle idee che non gli dispiacevano, pur essendo nato in una famiglia di alta estrazione sociale. L’esacerbarsi della situazione in Italia alimentò l’ideologia comunista di Pontecorvo.
Dopo due anni a Parigi, nel 1938 intendeva tornare in Italia. Ma quell’anno l’introduzione delle leggi antisemite lo convinse, essendo di famiglia ebrea, a rifugiarsi negli Stati Uniti, dove già si era trasferito anche Fermi. Dopo aver applicato con successo alla prospezione petrolifera la sua competenza con i neutroni, Pontecorvo si trovò a lavorare al progetto Manhattan non negli USA ma in Canada, nell’ambito del programma atomico anglo-canadese. Qui ebbe modo di progettare il reattore ad acqua pesante di Chalk River e di metterlo in funzione, contribuendo a un risultato fondamentale nella storia dell’energia atomica. Quindi si trasferì in Inghilterra, dove riprese le sue ricerche al centro di fisica nucleare di Harwell.
Fuga in Unione Sovietica
Alla fine degli anni ’40, tuttavia, era sorto un contenzioso tra il vecchio gruppo di via Panisperna, ormai divisosi, e l’ente atomico statunitense, perché i fisici italiani non avevano ottenuto i diritti di sfruttamento economico della tecnica di moderazione della reazione nucleare che spettavano loro grazie al brevetto registrato nel 1934. Gli americani, che negli anni del Maccartismo e del “pericolo rosso” diffidavano di tutti, decisero di approfittarne per ottenere informazioni aggiuntive sui fisici italiani, giustificandosi sulla base del fatto che tali informazioni fossero necessarie per il riconoscimento del brevetto. Pontecorvo sapeva cosa significava: l’intelligence avrebbe scoperto le sue idee politiche e stroncato la sua carriera, nel migliore dei casi. Un fisico comunista avrebbe infatti potuto passare informazioni all’URSS. Al direttore del centro di Harwell, Pontecorvo confermò che il fratello Gillo, che era stato partigiano (e divenne poi il famoso regista), era membro del PCI. Si decise di allontanarlo dal centro di ricerca, trasferendolo a Liverpool. Ma a quel punto, temendo anche di fare la fine di Klaus Fuchs, il fisico tedesco del progetto Manhattan condannato a 14 anni per aver passato informazioni sul programma nucleare ai sovietici, Bruno Pontecorvo decise di scappare.
La notizia del contenzioso per il brevetto era finita sulle prime pagine nell’agosto 1950. Il fisico italiano temeva che il suo passato comunista finisse sotto i riflettori e decise di non subire passivamente una condanna che riteneva ingiusta. Giustificandosi con il desidero della bella moglie svedese di tornare a Stoccolma, Pontecorvo giunse in Svezia, poi in Finlandia e da lì passò il confine con l’Unione sovietica come clandestino. Era passato al “nemico”. I sovietici gli fornirono tutto ciò che gli occorreva: come Bruno Maksimovic Pontecorvo, ebbe l’incarico di dirigere i laboratori di fisica sperimentali del centro di ricerca nucleare di Dubna, la città della fisica dove all’epoca si trovava il più grande acceleratore di particelle del mondo. Solo nel 1955, in una conferenza stampa, Pontecorvo si rifece vivo, assicurando che non stava lavorando al programma nucleare sovietico ma a un tema più teorico: la natura dei neutrini.
I neutrini e i Nobel mancati
Dopo aver dato un contributo decisivo alla scoperta dei neutroni lenti, Pontecorvo avrebbe infatti legato il suo nome alla più elusiva delle particelle elementari, il neutrino, teorizzato negli anni ’30 da Wolfgang Pauli ed Enrico Fermi, “prodotto di scarto” delle reazioni nucleari. Pontecorvo fu il primo, in una pubblicazione del 1959, a sostenere teoricamente che esistono diversi tipi di neutrini. Egli ne propose almeno due, un neutrino elettronico associato all’elettrone e un neutrino muonico associato al muone, una versione più pesante e meno stabile dell’elettrone. Oggi sappiamo che ne esiste anche un terzo, il neutrino tauonico, associato al tauone, che Pontecorvo all’epoca non conosceva. Ma la verifica sperimentale di quella teoria era impossibile in quegli anni, anche nell’acceleratore di particelle di Dubna. Solo nel 1962 ci riuscirono Mel Schwartz, Jack Steinberger e Leon Lederman con l’acceleratore di Brookhaven, negli Stati Uniti, ottenendo per questo il premio Nobel per la fisica nel 1988. Ma Pontecorvo, che era stato il teorizzatore di quella scoperta, non fu insignito dell’ambito premio.
Bruno Pontecorvo morì a Dubna, in quella che era appena diventata la Russia, nel 1993, all’età di ottant’anni. Se avesse vissuto ancora un paio d’anni, forse avrebbe ottenuto infine il Nobel. Nel 1995, infatti, il premio per la fisica andò a Clyde Cowen e Frederick Reines, che per la prima volta rilevarono nella metà degli anni ’50 i neutrini grazie a un esperimento immaginato dallo stesso Pontecorvo: si trattava di costruire un’enorme vasca riempita di cloro-37, un isotopo radioattivo del cloro, i cui atomi a contatto con i neutrini si sarebbero trasformati in argon-37, un atomo che ha un neutrone in meno e un protone in più del cloro-37. Se tale trasmutazione si fosse realizzata, allora i fisici avrebbero avuto la prova sperimentale dell’esistenza dei neutrini. Così avvenne utilizzando una gigantesca vasca costruita nei pressi del reattore di Savannah, che come tutti i reattori nucleari produce i neutrini.
Le ipotesi sulla natura dei neutrini elaborate da Pontecorvo sono diverse. L’ultima fu quella dell’oscillazione dei neutrini, che nel corso della loro esistenza possono cioè trasformarsi da neutrini elettronici a muonici e tauonici e viceversa. Questa oscillazione implica l’esistenza di una massa, per quanto infinitesimale, per i neutrini. Un’ipotesi confermata nel 1998 in Giappone e negli ultimi anni osservata più volte nei Laboratorio Nazionali del Gran Sasso. “Fosse vissuto in occidente, avrebbe partecipato e probabilmente diretto i due esperimenti che poi valsero il premio Nobel agli autori”, commenta oggi Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: “Nel paese dove aveva scelto di vivere questo non era possibile”. L’INFN celebrerà la figura di Pontecorvo con un convegno a Roma l’11 e il 12 settembre (“L’eredità di Bruno Pontecorvo: l’uomo, lo scienziato”), con la partecipazione dei premi Nobel Jack Steinberger e Carlo Rubbia, e un altro a Pisa, dov’egli iniziò i suoi studi, dal 18 al 20 settembre. Alla sua figura è dedicato anche il film autoprodotto Maksimovic, realizzato da Giuseppe Mussardo, fisico teorico alla SISSA di Trieste, proiettato in anteprima a Mosca lo scorso 22 agosto nel giorno del centenario. Un documentario che fa luce sulla grande figura del fisico “comunista”.