L’inattività? “Uccide più delle sigarette”
È una delle tante «cattive abitudini» con cui noi occidentali abbiamo rapidamente, e con piacere, imparato a convivere: perché se è innegabile che molte delle comodità che ci offre la nostra società sono oggettivamente irrinunciabili (perché farlo, del resto, se sono il frutto di un progresso secolare dell'umanità?) è pur vero che gli eccessi hanno finito per travolgere una larga fetta degli abitanti dei Paesi industrializzati. E così capita che, a leggere i dati statistici ma anche ad osservare gli stili di vita personali o altrui, l'uomo appaia sempre più spesso come ridotto ad esemplare da divano, raramente impegnato in attività motorie che vadano oltre il raggiungimento della propria automobile: con conseguenze immaginabili sull'adattamento dell'organismo che, se fino a pochi decenni fa veniva sfruttato fino allo stremo, oggi non è neanche più in grado di concepire (figuriamoci di tollerare) di rinunciare alla propria pigrizia, pur nella consapevolezza che ciò contribuisce non poco al proprio malessere fisico.
In occasione dell'approssimarsi dell'inizio delle Olimpiadi, dunque, la prestigiosa rivista scientifico-medica The Lancet ha reso noti i numeri relativi alla sedentarietà ponendo l'accento su un aspetto fondamentale e troppo spesso sottovalutato con superficialità: che l'inattività uccide, favorendo l'insorgere di diabete di tipo due nonché di patologie a carico del sistema cardiovascolare. Il rapporto, frutto del lavoro di un gruppo internazionale composto da 33 ricercatori che hanno analizzato i dati relativi a diversi Paesi del mondo, sottolinea come il fenomeno della pigrizia "cronica ed inestirpabile" assuma proporzioni sempre più ampie, prendendo i tratti di una vera e propria «pandemia»: secondo le stime degli esperti, circa un terzo della popolazione adulta mondiale sarebbe quasi completamente sedentaria. Nel 2008, anno di riferimento della ricerca, 5.3 milioni di individui sarebbero stati uccisi da malattie riconducibili alla scarsa (o praticamente nulla) attività fisica. Una cifra che dovrebbe far riflettere, in considerazione del fatto che supera leggermente quella dei morti nel medesimo lasso di tempo per i danni legati dal tabagismo (5.1) e tenendo presente come si associ, nei Paesi occidentali, alla diffusione sempre più capillare di un altro grande male della nostra società, l'obesità.
Eppure, come attività fisica necessaria giornaliera non si intende, certamente, un estenuante lavoro da atleti o da lavoratori indefessi della terra: un minimo di 150 minuti a settimana, insomma un piccolo impegno per la propria forza di volontà, potrebbe risultare l'arma vincente per evitare di andare incontro all'età appesantiti da uno stile di vita che, alla lunga, danneggia irreversibilmente l'organismo. Faccende domestiche, un moderato ricorso allo sport, o anche la semplice passeggiata a piedi alternativa all'auto, rappresenterebbero la chiave di volta per migliorare la salute della popolazione mondiale: attraverso una sfida globale che diventi una priorità delle organizzazioni di sanità pubblica di tutti i Paesi, allo scopo di ridurre i costi sociali ed economici della «pandemia della pigrizia», fenomeno che se non può essere considerato a tutti gli effetti come una malattia è tuttavia origine di numerose patologie: inoltre, stando alle ricerche degli esperti, la sedentarietà sarebbe collegabile anche ad alcune forme tumorali assai diffuse, quali quelle che colpiscono il seno o il colon. Una missione da compiere ed un obiettivo da raggiungere soprattutto con i giovani, nella speranza di educare a comportamenti più sani di quelli attualmente più comuni: secondo lo studio, circa l'80% degli adolescenti di età compresa tra i 13 e i 15 anni farebbe meno di un'ora di attività fisica al giorno, tempo consigliato per chi è in fase di sviluppo; con conseguenze prevedibili. Forse è il caso, effettivamente, di mettersi all'opera contro l'«epidemia mondiale dell'inattività»: e magari, dopo aver osservato gli atleti olimpici in televisione, dedicarsi a qualcosa che scrolli dalla dolcezza inesauribile dell'ozio.