L’Homo è più vecchio di quanto pensavamo?
Gli scienziati che lavorano in Etiopia hanno scoperto una mandibola completa di cinque denti che appartenne ad un antichissimo membro del genere Homo. Risalente a circa 2,8 milioni di anni fa, il fossile è non solo la più antica testimonianza di Homo conosciuta ma anche un importante indizio che sembra suggerire che il nostro genere comparve circa mezzo milione di anni prima di quanto precedentemente ipotizzato. Si tratta di una scoperta eccezionale che, non a caso, ha meritato ben tre nuovi studi pubblicati da Science e Nature durante questa settimana.
Un parente di Lucy e dell'Homo habilis?
Il reperto (sigla di classificazione LD 350-1) è venuto alla luce nel 2013 nel sito di Ledi-Geraru, nella celebre regione etiope di Afar: dove, per intenderci, negli anni '70 vennero ritrovati i resti di Lucy. Esso presenta una notevole combinazione di tratti primitivi, risalenti ai più antichi australopitechi, con caratteristiche osservabili negli uomini moderni. Ma soprattutto narra qualcosa di quell'intervallo di tempo fondamentale, compreso tra 3 e 2,5 milioni di anni fa, del quale molto poco è noto alla scienza: i più antichi fossili riconducibili a creature del genere Homo, infatti, risalivano soltanto a 2,3/2,4 milioni di anni fa, prima di questa eccezionale scoperta.
Secondo Brian Villmoare della University of Nevada di Las Vegas e William Kimbel della Arizona State University, il nuovo fossile presenta aspetti morfologicamente molto vicini a quelli di un Homo benché la sua età e la sua posizione geografica lo collocherebbero automaticamente nei pressi dell'Australopiteco afarensis. I molari sottili e i premolari simmetrici sono tratti che distinguono alcuni tra i primi ominidi, come ad esempio l'Homo habilis (anche se sappiamo come questa denominazione sia ultimamente fonte di qualche perplessità, almeno per una parte della comunità scientifica). Ma il mento si mostra ancora piuttosto primitivo, ricollegandosi ancora una volta a Lucy. Questo significherebbe, in parole molto povere, che la separazione del genere Homo sarebbe avvenuta prima di quanto credevamo.
La mandibola di Ledi aiuta a ridurre la differenza evolutiva tra l'australopiteco e i primi membri del genere Homo. Essa rappresenta un caso eccellente di fossile di transizione rappresentativo di un momento fondamentale dell'evoluzione umana – William Kimbel
Il paesaggio di 2,8 milioni di anni fa
Lo studio correlato, guidato da Erin di Maggio della Pennsylvania State University e da Kaye Reed della Arizona State University, ha confermato l'età del fossile tra 2,8 e 2,75 milioni di anni fa, attraverso una descrizione del contesto geologico. Importante è stata la datazione degli strati di cenere vulcanica circostante, ottenuta dalla misurazione di diversi isotopi dell'argon che ha consentito agli studiosi di determinare quando hanno avuto luogo le eruzioni che hanno creato i campioni.
Ma i ricercatori hanno anche "ricostruito" il contesto ambientale, grazie ai fossili rinvenuti nei dintorni e risalenti al medesimo periodo, evidenziando come il sito all'epoca era caratterizzato da praterie e cespugli, alberi e terreni acquitrinosi. Insomma un ambiente umido nel quale vivevano antilopi preistoriche ed elefanti, coccodrilli ed ippopotami, pesci nei fiumi e nei laghi. Qualcosa di simile, sottolineano gli esperti, alle pianure del Serengeti odierne. Alcuni studi suggeriscono che, circa 2,8 milioni di anni fa, il cambiamento climatico subì un'accelerazione in Africa a causa della quale sarebbe risultata l'aridità di queste zone nonché l'adattamento evolutivo di molte specie di mammiferi.
Possiamo osservare segnali di aridità nella comunità di Ledi-Geraru di 2,8 milioni di anni fa. Ma è ancora troppo presto per dire che questo significa che il cambiamento climatico fu responsabile dell'origine del genere Homo. Avremmo bisogno di un più ampio campione di fossili di ominidi ed è proprio per questo che continuiamo a venire a Ledi-Geraru per cercare – Kaye Reed
Il primitivo Homo habilis
Il lavoro di Fred Spoor e Philipp Gunz del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, edito da Nature, è in accordo con gli studi precedenti sulla base di una ricostruzione virtuale dell'Homo habilis, basata sui resti rinvenuti nella gola di Olduvai, in Tanzania, nel 1964, durante una delle campagne di scavo dei coniugi Leakey. Risalente a 1,8 milioni di anni fa, il reperto catalogato come OH7 include parti della scatola cranica, delle ossa della mano ed una mandibola. Partendo da questi, il team ha operato un modello digitale dell'individuo, scoprendo che esso era sorprendentemente primitivo: l'arcata dentale stretta ricorda molto più un Australopithecus afarensis, anziché un Homo erectus, ossia la specie vicina a quella dell'Homo habilis. La ricostruzione del cranio, invece, indicherebbe una capacità cranica superiore a quanto precedentemente stimato.
Esplorando digitalmente come appariva realmente l'Homo habilis noi avremmo solo potuto desumere la natura dei suoi predecessori, perché fino ad ora nessun fossile era conosciuto. Adesso la mandibola di Ledi-Geraru salta fuori quasi "su richiesta", suggerendo un possibile legame evolutivo tra Australopithecus afarensis and Homo habilis – Fred Spoor