Intervista a don Giuseppe Tanzella-Nitti: “L’ignoranza, non la scienza, è nemica della fede”
La scienza ha ancora bisogno di Dio? E' la domanda che si sono posti alcuni importanti scienziati, in Italia come in altri paesi, discutendo delle ultime teorie che spiegano l'origine della vita e dell'universo facendo a meno dell'apparentemente "inutile ipotesi" di Dio, come affermò a suo tempo Laplace. Il violento dibattito tra sostenitori dell'evoluzione e creazionisti in America sembrerebbe tagliare fuori qualsiasi possibilità di dialogo, ma non mancano tentativi da ambo le parti per una reciproca convivenza. E' il caso, in Italia, di don Giuseppe Tanzella-Nitti, ordinario di Teologia fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce di Roma, e direttore del Centro di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede.
Don Tanzella-Nitti, negli ultimi anni la Chiesa sembra aver rilanciato il dialogo tra scienza e fede su una base di maggiore comprensione reciproca. Quant’è stato importante, in questo senso, l’apporto di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?
Uno sguardo alla storia ci mostrerebbe che l’interesse della Chiesa per il mondo scientifico viene da molto lontano, soprattutto a motivo della fondazione delle Università medievali e degli altri centri di istruzione che la Chiesa in qualche modo ha promosso in tutto il mondo Occidentale. Comunque, lei ha ragione quando dice che gli ultimi due Pontefici hanno rilanciato questo dialogo, anche perché l’opinione pubblica così lo ha percepito a motivo di eventi specifici, come ad esempio gli studi che Giovanni Paolo II ha incoraggiato sulla vicenda di Galileo e l’attenzione che Benedetto XVI tributa nei suoi discorsi al ruolo della ragione, all’amore alla verità, che coinvolge certamente anche la verità scientifica. Ambedue, poi, hanno scritto pagine importanti sull’evoluzione biologica, che talvolta viene frettolosamente vista in opposizione al messaggio cristiano sulla creazione.
Nel suo lungo pontificato Giovanni Paolo II ha indirizzato centinaia di discorsi a comunità accademiche e scientifiche, intrattenendosi più volte in dialogo con uomini di scienza. Li ascoltava volentieri, come già a Lublino e a Cracovia, perché convinto che una delle eredità del Concilio Vaticano II era stata proprio l’invito a conoscere la cultura e la scienza del proprio tempo. Di questa conoscenza anche la teologia e la vita della Chiesa in genere dovevano giovarsi, come più volte affermato dalla costituzione Gaudium et spes, perché di vitale importanza al momento di diffondere in modo qualificato e credibile il messaggio del Vangelo. Anche se i contenuti del Vangelo non riguardano direttamente la scienza, ad essere immerso nella cultura scientifica è oggi il destinatario di questo messaggio, cioè ogni essere umano, l’uomo comune.
Dal canto suo, Benedetto XVI dialoga volentieri con chiunque si mostri desideroso di cercare la verità con onestà intellettuale, e non vi è dubbio che gli uomini di scienza siano in proposito validi interlocutori. Sbaglia, a mio avviso, chi ritiene che una scienza debole e consapevole dei propri limiti e della propria continua provvisorietà dialoghi meglio con la fede, perché incapace di “metterla in crisi”. È vero piuttosto il contrario: una scienza che si riconosce come un’impresa di verità si apre più facilmente alle domande che contano, quelle davvero importanti, che puntano all’origine e al senso delle cose, disponendosi così ad ascoltare con interesse le eventuali risposte che a tali domande offrono la teologia e la fede. Il peggiore nemico della fede cristiana continua ad essere l’ignoranza, la superficialità, non certo la scienza.
Lei è stato il curatore del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede ed è oggi tra i principali studiosi italiani impegnati a promuovere il dialogo tra le due sponde. Qual è l’obiettivo del DISF e perché ha deciso di dedicare la sua attività soprattutto a questo settore di studi?
Come docente di teologia fondamentale, indirizzo parte del mio interesse allo studio del rapporto fra fede e ragione, un tema da sempre associato a quest’area teologica, la quale si occupa, fra l’atro, del trattato sulla fede e di quello sulla credibilità della Rivelazione. Oggi non si potrebbe parlare di ragione senza fare riferimento anche, e forse soprattutto, alla ragione scientifica; né si potrebbe trattare la credibilità del cristianesimo ignorando di avere di fronte un interlocutore che si nutre di cultura scientifica – o, per essere più precisi, delle immagini che di essa ci forniscono i media. Nasce da questa semplice constatazione il proposito di sviluppare una teologia fondamentale che dedichi un certo interesse anche alle scienze, cosa che ho cercato di fare appunto negli ultimi anni.
E da qui nasce il progetto al quale lei si riferisce, prima un Dizionario, innovativo per la sua epoca di pubblicazione (2002), e da qualche anno un Portale web di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede, che metta a disposizione dell’ampio pubblico del web articoli, recensioni, rubriche. La prospettiva del Progetto DISF è di carattere documentale. Ci interessano soprattutto alle fonti, con le quali vogliamo porre il lettore in rapporto diretto. Non siamo interessati alle polemiche e ai proclami ideologici, purtroppo frequenti anche in questo tipo di tematiche, ma solo allo studio oggettivo e responsabile delle questioni dibattute.
Da queste iniziative è poi nato con naturalezza un Working Group, una Scuola Interdisciplinare per giovani ricercatori, attiva dal 2005, che si riunisce attorno ad un Seminario Permanente, il cui programma è ben visibile nella piattaforma didattica associata al sito web prima citato. Il DISF Working Group si configura come un progetto formativo per giovani laureati, ricercatori e studiosi, che desiderano arricchire i loro studi o la loro attività professionale con un più ampio quadro interdisciplinare, attento ai fondamenti filosofici delle diverse scienze. L’approfondimento è condotto anche alla luce dei contenuti della Rivelazione cristiana, riconosciuto significativo per accrescere la cultura umanistica, ma anche filosofico-teologica, dei partecipanti. Al tempo stesso, le attività sono aperte anche a studiosi con diverse visioni filosofiche o religiose, perché interessati al ruolo avuto dalla tradizione di pensiero ebraico-cristiana nella formazione della cultura occidentale.
[quote|left]|Il peggiore nemico della fede cristiana continua ad essere l’ignoranza, la superficialità, non certo la scienza.[/quote]Il progetto formativo elaborato da questo gruppo di ricerca potrebbe essere riepilogato dal programma: rivalutare l’umano nella scienza e non contro la scienza. Spesso si ritiene che la difesa della dignità della persona umana e della sua dimensione trascendente imponga una rivalsa contro le ragioni del progresso scientifico, che quindi dovrebbero essere ridimensionate, frenate o addirittura rifiutate. Si riflette invece poco sul fatto che il vero soggetto dell’impresa tecnico-scientifica è la persona umana, e che tale impresa, oltre ad esprimere una vocazione di ricerca della verità, ha un valore di promozione per l’uomo e per tutta la società in cui vive. È su queste dimensioni, che vogliamo riflettere insieme.
Negli ultimi anni si è tornati a dibattere molto sul darwinismo, anche alla luce di una prospettiva nata in America e duramente criticata dagli scienziati evoluzionisti, il cosiddetto “disegno intelligente”. Qual è la sua opinione in proposito?
Il tema dell’intelligent design non è facile da affrontare, almeno per due questioni. La prima riguarda le molteplici interpretazioni che tale espressione assume, sia in coloro che la sostengono, sia in coloro che la criticano, rendendo talvolta difficile capire di cosa si stia in realtà parlando. Un’affermazione di Benedetto XVI in un’udienza del mercoledì del 9 novembre 2005, ad esempio, nella quale il Pontefice affermava che l’universo risponde ad un progetto e che il suo Creatore è intelligente, è stata frettolosamente interpretata come una dichiarazione di sostegno al movimento americano al quale lei si riferisce. A complicare la questione vi è poi il fatto che i creazionisti, ovvero dei gruppi protestanti che sostengono un letteralismo biblico tutt’altro che teologico, abbiano strizzato l’occhio ad alcuni rappresentanti dell’intelligent design, e che questi ultimi si siano prestati talvolta al gioco dei primi, favorendo così che i mass media li associassero insieme, un po’ frettolosamente. Nello stesso contenitore è poi finito, come abbiamo visto, chiunque creda che esista un Creatore e che il mondo risponda ad un suo progetto intelligente… Ancora una volta, modi diversi di intendere i medesimi termini, crea equivoci.
In merito all’intelligent design, non si dovrebbe dimenticare che i sostenitori di tale visione sono biologi e in alcuni casi dei matematici. Dunque, almeno nell’intenzione di chi la promuove, questa corrente parrebbe partire da premesse scientifiche. Essi ritengono che né la selezione naturale né la casualità, siano il principale motore dell’evoluzione biologica, bensì la direzionalità verso precise strutture morfologiche, quasi secondo un piano intelligente, già previsto. Si attribuisce a questo movimento l’idea che le strutture biologiche sembrino rispondere ad un “progetto” a qualcosa di “pensato tutto insieme” e non ad una “soluzione accidentale” che l’evoluzione ha trovato nel procedere del suo corso. In realtà, dal punto di vista dell’analisi delle scienze, il termine “finalismo” non dovrebbe sorprendere più di tanto, se con esso non si fa riferimento ad una finalità intenzionale, ma solo ad una strategia interpretativa. L’azione di principi finalistici, infatti, non è una novità per altri ambiti della scienza. La fisica-matematica conosce il principio di minima azione, che indica come un sistema fisico percorra sempre la strada più vantaggiosa. I principi della termodinamica classica sono in fondo dei principi finalistici, e anche la chimica li impiega quando spiega i legami chimici partendo dal principio che ogni atomo tende a completare i suoi otto orbitali elettronici fondamentali.
[quote|left]|La visione del “progetto intelligente” ci dice solo che la selezione naturale è insufficiente, ma questo lo sapevamo già da altre fonti scientifiche.[/quote]A differenza di questi ambiti, però, dove l’impiego di un principio finalista aiuta a prevedere scientificamente il comportamento di un fenomeno, l’intelligent disegn non ha, al momento, alcun potere predittivo in biologia. A differenza del darwinismo o di altri meccanismi evolutivi, l’intelligent design non spiega scientificamente il perché appaia una morfologia o una specie piuttosto che un’altra. Altri meccanismi evolutivi, come la selezione naturale, o lo schema predatore-preda, per fare un altro esempio, sono invece in grado di farlo. La visione del “progetto intelligente” ci dice solo che la selezione naturale è insufficiente, ma questo lo sapevamo già da altre fonti scientifiche. Insomma, dal fatto che l’occhio è fatto “in modo da vedere”, non possiamo concludere, a livello scientifico ed empirico, che sia stato pensato e poi fatto “per vedere”.
Negli ultimi anni diversi eminenti scienziati hanno preso duramente posizione contro il pensiero religioso, ad esempio Richard Dawkins, Stephen Hawking e Lawrence Krauss, ma non mancano scienziati illustri che incoraggiano il dialogo, come Paul Davies e John D. Barrow, che hanno tra l’altro vinto il Premio Templeton, che sostiene il confronto tra scienza e fede. Si va verso un nuovo scontro tra scienziati e teologi o ci sono prospettive di una reciproca comprensione?
Non parlerei di scontro, anche se la comunicazione dei media privilegia le prospettive dialettiche e conflittuali allo scopo di attrarre maggiormente l’attenzione dei lettori. La maggioranza degli uomini di scienza ha creduto e crede in Dio, ed il pensiero scientifico si è sviluppato nel mondo occidentale grazie al clima di ricerca e di studio inaugurato dalle Università medievali, nate nel seno della Chiesa. Basterebbero queste due constatazioni a mostrare che il paradigma del conflitto non è quello adeguato (e di conseguenza neanche quello di una “riconciliazione”). O basterebbe anche solo ricordare, per toccare un ambito nel quale ho svolto per vari anni la mia attività professionale, che tutti gli Osservatori Astronomici italiani sono stati fondati da sacerdoti o religiosi oppure sono sorti come sviluppo di Specole attive nei seminari cattolici.
È comunque vero che il rapporto fra scienza e fede, fra pensiero scientifico e teologia, sta tornando di attualità, coinvolgendo ormai ampi strati dell’opinione pubblica. Ma al di là delle letture conflittuali o conciliariste, vorrei portare l’attenzione su un altro elemento, che ritengo più significativo. Mi riferisco al fatto che molti temi che l’opinione pubblica ritiene appartengano alla teologia o alla fede, nel loro confronto con le scienze, sono in realtà, ancor prima, dei temi che appartengono alla filosofia. Chiedersi se questo mondo abbia un Creatore, chi sia l’essere umano di fronte a Dio, quale il suo ruolo nel creato e quale sia il senso del mondo in cui viviamo, sono prima di tutto interrogativi filosofici. Essi appartengono alla storia del genere umano e ne hanno ispirato le manifestazioni della cultura e dello spirito. Di fronte a questi temi l’uomo si cimenta esercitando la sua ragione, ancor prima che invocando posizioni confessionali, cioè legate alla rivelazione biblica o ad altre tradizioni religiose.
È chiaro che dalle risposte che forniamo a queste domande dipenderanno anche le risposte che daremo ai nostri interrogativi morali, e quindi alle scelte che possono guidare una società e le sue leggi. Ed è proprio in quest’ultimo passaggio, estremamente delicato, che si inserisce il clima dialettico e a volte aspro al quale assistiamo in alcune occasioni. Eppure, il cristianesimo rivolge un chiaro appello alla ragione, riconoscendola non soltanto parte della sua storia, ma anche condizione di ogni intelligenza credente. Da questo punto di vista la fede non ha nulla da guadagnare da una ragione o da una scienza deboli, come detto in precedenza, almeno nella misura in cui esse si riconoscono imprese di verità. In questi ultimi anni, nei quali la religione viene percepita dalla maggioranza delle persone come una dimensione privata, quasi esclusivamente soggettiva, legata all’emotività e al sentimento, il magistero della Chiesa (ma anche non pochi pensatori) tornano ad insistere sui rapporti fra cristianesimo e ragione, fra religione e ragione.
È stato il tema di fondo della enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II. Benedetto XVI non ha mancato di parlarne in più circostanze (già prima di lui il teologo Ratzinger), come in occasione del discorso all’Università di Ratisbona. La grande eco causata dai passaggi di quel discorso che ripercorrevano la vicenda storica dell’Islam ha offuscato, a mio avviso, quanto quel discorso aveva per leit motiv, ovvero il rapporto fra religione e ragione. Una religione può lecitamente avanzare una istanza di verità se è disposta a confrontarsi con il logos, riassumendo in questo termine il patrimonio umano della filosofia e delle risposte (razionali) ai grandi temi dell’Essere. In questo senso, una religione come il cristianesimo, che da sempre afferma questa istanza di verità, può confrontarsi e incontrarsi anche con altre forme di pensiero che avanzino un’analoga richiesta di universalità e di verità, come sono appunto le scienze. Entrambe possono e devono fare appello al logos e aprirsi alla ricerca della verità, che il credente sa essere unica, ed avere il volto di Gesù Cristo, Logos fatto carne.