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Inondazioni, sete, fame e malaria: il nostro destino a fine secolo

Secondo il rapporto sull’ambiente dell’IPCC, gruppo di lavoro dell’Onu, nel 2100 circa il 9% del Pil mondiale sarà impiegato per resistere all’avanzata delle acque.
A cura di Redazione Scienze
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I disastri naturali causati dal cambiamento climatico non sono solo parte di uno scenario apocalittico di là da venire. Le conseguenze dell'inquinamento si vedono già oggi, nell'uragano di New York del 2012, nel grande caldo del 2003 che ha contribuito ad uccidere 70 mila persone, negli incendi in Russia nel 2010 e, in generale, in molti di quelli che infiammano il mondo in estate. La seconda parte del rapporto IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) presentata oggi mette paura. Il gruppo di lavoro dell'Onu è incaricato di controllare i cambiamenti climatici, di studiarne le cause e prevederne gli sviluppi. Se si prosegue sui trend attuali, hanno fatto sapere gli studiosi, il 9% del Pil globale sarà impiegato contro l'emersione delle città dalle acque. La temperatura infatti aumenterà a causa dei gas serra in costante crescita, i ghiacciai continueranno a sciogliersi, il livello del mare a salire, mentre scenderà del 2% ogni 10 anni la produzione di prodotti alimentari fondamentali come i cerali (grano, riso e mais su tutti). Allo stesso tempo la popolazione mondiale sarà cresciuta di altri due miliardi, saranno 25 milioni in più i bambini malnutriti sotto i cinque anni e i profughi in fuga dalle acque sanno 187 milioni.

Nel 2100 il mondo potrebbe essere così. Gli studiosi dell'IPCC hanno presentato un quadro che, per quanto drammatico, altro non è che il risultato di processi in atto e dell'incapacità, al momento, di dare un freno al consumo di idrocarburi. Il carbonio nell'aria emesso dalle industrie è di 545 miliardi di tonnellate, mentre a quota 1.000 miliardi si supererebbe il limite oltre il quale aumenterebbe la temperatura globale di due gradi, scatenando una serie di eventi nefasti per la specie umana (e non solo). Il 20% di CO2 emesso nell'aria, infatti, rende impossibile la fuoriuscita di calore. I danni del riscaldamento globale si sentono in maniera diversa in base alla regione: in Europa sta già portando un aumento delle precipitazioni, mentre in Australia la siccità sta minacciando la vita dell'ornitorinco e in Africa a soffrirne di più sono le specie acquatiche. Piccole isole e zone costiere – soprattutto in Asia – spariranno. L'allarme lanciato dall'IPCC fa paura, ma la possibilità di interventire c'è ancora. Una politica attenta, capace di imprimere un'inversione di rotta brusca potrebbe fare in modo che nel 2050 l'insufficienza di acqua riguardi "solo" 150 milioni di persone invece di un miliardo, che la malaria diventi un rischio per 1,7 miliardi di persone e non per 5,2. Risultati minimi che non escludono la sofferenza ma che, quantomeno, sarebbero l'esito di una presa di consapevolezza diventata azione.

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