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Covid 19

Indossare a lungo le mascherine fa male? Gli effetti collaterali in ufficio e quando si fa sport

Il dott. Paolo Esposito, specialista in Medicina del Lavoro: “Un uso prolungato può portare a varie manifestazioni cliniche legate alle caratteristiche e alla durata dell’applicazione sul viso. Per questo è importante scegliere la giusta tipologia in funzione del rischio cui si è esposti, non solo al lavoro ma anche quando si praticano attività motorie”.
Intervista al Dott. Paolo Esposito
Specialista in Medicina del Lavoro, medico competente sul territorio nazionale
A cura di Valeria Aiello
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Con l’allentamento delle restrizioni della fase 2, la stragrande maggioranza delle aziende sta mettendo a disposizione dei propri dipendenti dispositivi di protezione delle vie respiratorie, richiedendo di indossarli durante l’intero turno di lavoro. Dopo il lockdown per il coronavirus, la ripartenza è quindi scandita dall’uso obbligatorio delle mascherine che, come spiegavamo qui, secondo la diversa tipologia, possono assicurare differenti livelli di protezione. Comportando, però, anche disagi, spesso dovuti a difficoltà respiratorie. Ma qual è la risposta del nostro corpo all’uso di una mascherina per tante ore? E cosa può cambiare in termini di affaticamento o ossigenazione? Lo abbiamo chiesto al dott. Paolo Esposito, specialista in Medicina del Lavoro e medico competente di più di duecento aziende su tutto il territorio nazionale.

Allora Dottore, quali sono gli effetti “collaterali” di un uso prolungato delle mascherine?

Dobbiamo innanzitutto fare una distinzione. Anche se in questa fase 2 è tutt’altro che semplice il loro reperimento, in commercio sono disponibili sia mascherine di tipo chirurgico, sia diverse classi di dispositivi di protezione (DPI) delle vie respiratorie. Se parliamo di mascherine chirurgiche, cioè quelle che di solito si utilizzano in ambito medico e che, con l’emergenza coronavirus, sono state equiparate ai DPI, sappiamo che hanno una capacità filtrante pressoché totale verso l’esterno (superiore al 95% per i batteri) ma una ridotta efficienza filtrante verso chi le indossa, di circa il 20%, principalmente a causa della scarsa aderenza al volto e delle caratteristiche del tessuto di cui sono costituite.

Queste mascherine hanno quindi una resistenza respiratoria molto più bassa e certamente non paragonabile a quella delle mascherine a più alta efficienza filtrante, per cui non abbiamo particolari problemi nella respirazione, soprattutto svolgendo le attività quotidiane di vita e di lavoro. Ciò vale anche per i soggetti che soffrono di patologie allergiche come rinite e asma bronchiale: la mascherina chirurgica non comporta alcun rischio aggiuntivo di aumentare le difficoltà respiratorie. Anzi, può diventare un fattore protettivo, contribuendo, almeno in parte, a filtrare gli allergeni stagionali, sostanzialmente pollini, che in questo periodo iniziano a essere aerodispersi dalla fioritura delle piante. Tuttavia è da sottolineare che queste mascherine non garantiscono una protezione elevata nei confronti del virus che proviene dall’esterno in quanto non sono in grado di trattenere le particelle molto fini, generate, per esempio, da aerosol.

Se invece prendiamo in esame le mascherine FFP2 e FFP3, che hanno capacità filtranti medio-alte (di almeno il 94 e 99% rispettivamente) e perdite verso l’interno di circa l’8 e 2%, ci troviamo davanti a una diversa situazione. Anche in questo caso va però fatta una differenziazione perché quelle con valvola hanno una ridotta efficienza filtrante in uscita, non superiore al 20%. Non dovrebbero dunque essere utilizzate dalla popolazione generale al di fuori del contesto ospedaliero perché i soggetti infetti, anche se asintomatici, potrebbero trasmettere la malattia ad altre persone nonostante l’utilizzo della stessa.

Al contrario, le mascherine FFP2 e FFP3 senza valvola hanno un’importante capacità protettiva sia per i flussi respiratori in entrata, sia in uscita, pressoché totale nel caso delle FFP3. In generale, possiamo quindi dire che le mascherine FFP2 sono ben tollerate dalla maggior parte dei soggetti mentre le FFP3 possono esserlo meno poiché l’aria espirata si accumula al loro interno, inumidendo il materiale delle stesse e rendendo più complicata la respirazione. Inoltre, progressivamente, tenderà a salire la concentrazione di anidride carbonica dell’aria inspirata. Da questa deriva la sensazione di affanno e fame d’aria legata a un uso prolungato.

In molti lamentano anche arrossamenti, prurito o acne in alcune aree del volto. Perché?

I materiali utilizzati per le mascherine sono molteplici, principalmente poliestere o polipropilene nel cosiddetto TNT (Tessuto Non Tessuto) per le chirurgiche. Una volta indossate, lo scambio tra l’aria calda e umida della respirazione e l’aria esterna tende a sviluppare condensa, con conseguente incremento dell’umidità relativa all’interno della mascherina. Di conseguenza, la pelle dell’area naso/bocca tenderà ad adattarsi all’ambiente caldo/umido all’interno della mascherina, con modifiche del microbiota cutaneo e comparsa di arrossamenti, dermatiti, prurito e acne. Questo si verifica anche nelle zone ai margini della mascherina, dove è presente un continuo sfregamento della stessa con la cute del viso. Solitamente, le mascherine più occlusive (FFP2/FFP3 senza valvola) sono quelle che creano maggiori problemi perché, essendo più rigide, causano maggiore sfregamento; inoltre, proprio perché più occlusive, si forma anche una maggiore umidità nella zona coperta, cosa che può aumentare i problemi cutanei che dicevamo.

Cosa si può fare?

Se sappiamo di dover indossare la mascherina a lungo, un consiglio può essere quello di utilizzare una crema barriera lenitiva almeno nell’area delle orecchie o nei punti più critici per assorbire l’umidità in eccesso e mantenere la pelle asciutta, proteggendola dagli sfregamenti e limitando così i danni. In alternativa può essere utilizzato un cerotto di carta traspirante che, tra l’altro, i portatori di occhiali possono applicare dietro il padiglione auricolare o sull’astina dell’occhiale, in modo da offrire una protezione aggiuntiva alla zona posteriore delle orecchie. Diversamente, si potrebbe avvolgere l’estremità degli elastici della mascherina con una fascia elastica in velcro da sistemare sulla nuca. Ad ogni modo, particolarmente importante è la fase successiva all’uso della mascherina: dopo la sua rimozione andrebbero infatti privilegiati prodotti per la detersione e l’idratazione della cute delicati e adatti a pelli sensibili.

Con l’arrivo dell’estate, il caldo può peggiorare certe situazioni?

Certo, con l’arrivo del caldo, il comfort nell’utilizzo delle mascherine, soprattutto delle FFP2 ma anche delle più leggere mascherine chirurgiche, andrà di certo a peggiorare. Questo dipende in parte dall’incremento ulteriore dell’umidità relativa che si svilupperà nello spazio interno alla mascherina, e in parte dal fatto che il sudore andrà verosimilmente a incrementare le problematiche cutanee di cui abbiamo discusso prima.

E come si concilia la mascherina con lo sport?

Se ci riferiamo a chi pratica sport all’aperto, come ad esempio ai runner, la mascherina di certo non è indicata durante un’attività motoria sostenuta. Chi si sottopone a uno sforzo fisico, con mascherina che copre naso e bocca, respirerà progressivamente una quantità maggiore di anidride carbonica che porta a modifiche importanti dell’equilibrio acido/base del corpo, con sintomatologia che va dai capogiri al mal di testa, fino ad arrivare a stati confusionali e allo svenimento. Potrebbero inoltre manifestarsi sensazione di fame d’aria, fiato corto, aumento della pressione arteriosa, tachicardia. Questo perché il soggetto andrà a respirare aria con concentrazioni di anidride carbonica superiori a quelle presenti in aria ambientale. Dunque la mascherina è sconsigliata negli sport aerobici. Tuttavia è buona norma tenerla comunque con sé, nel caso dovesse capitare di incontrare qualcuno o di incrociare persone durante l’allenamento o le attività collaterali alla corsa (riscaldamento, stretching). La cosa migliore, a oggi, è il rispetto del distanziamento sociale, indicato in almeno due metri per quanto riguarda la corsa in spazi aperti.

Se invece parliamo di sport in spazi chiusi, come può essere l’allenamento in palestra, sostanzialmente dipende dal tipo di allenamento effettuato. In tutte le attività con sforzi anaerobici, come ad esempio il body building, l’utilizzo di una mascherina non crea significativi problemi, in quanto l’atleta non compie uno sforzo aerobico, per cui non risente in modo significativo dei cambiamenti dell’ossigenazione legati all’uso della mascherina. Riguardo invece gli allenamenti aerobici in palestra, vale sostanzialmente quanto detto per i runner all’aperto. Dunque in primo luogo privilegiare il distanziamento sociale.

In che modo va quindi usata la mascherina?

Quando si indossa una mascherina, è di fondamentale importanza che copra completamente naso e bocca, e che il corpo della stessa non sia mai toccato con le mani. Ugualmente importante è che il suo utilizzo sia accompagnato da appropriate norme igieniche, essenzialmente il lavaggio accurato delle mani prima dell’applicazione e dopo la rimozione, che dovrà essere effettuata facendo attenzione a toccare solo gli elastici. Importante inoltre ricordare che in nessun momento la mascherina va abbassata, scoprendo il naso o addirittura l’intero viso, oppure tenuta sotto il mento; non va mai appesa al collo o appoggiata su superfici, né lasciata in giro dopo averla indossata. Dopo l’uso, la mascherina chirurgica va buttata nell’indifferenziata e sostituita con una nuova.

Affinché protegga davvero, è quindi primario l’uso corretto, accompagnato dalla scelta della tipologia in funzione del rischio cui si è esposti, non solo al lavoro ma anche quando si tornerà a fare sport in ambienti chiusi. Per gli sport individuali all’aperto, come detto, resta fondamentale l’accorgimento del distanziamento sociale, indicato, nella corsa, in almeno due metri.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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