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Covid 19

Il vaccino contro l’influenza protegge da Covid grave e ricovero, ma non è un “sostituto”

Mettendo a confronto le cartelle cliniche elettroniche di 80mila pazienti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2, un team di ricerca dell’Università di Miami ha dimostrato che quelli vaccinati contro l’influenza avevano un rischio sensibilmente inferiore di sviluppare complicazioni della COVID-19 e di essere ricoverati in ospedale.
A cura di Andrea Centini
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Il vaccino contro l'influenza stagionale riduce in modo significativo il rischio di complicazioni, ricovero in ospedale e morte per COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2. L'associazione positiva tra vaccinazione antinfluenzale e rischio di Covid grave era già emersa da diversi altri piccoli studi condotti nell'ultimo anno, come ad esempio la recente indagine “Impact of the influenza vaccine on COVID-19 infection rates and severity” pubblicata sull'American Journal of Infection Control da scienziati dell'Università del Michigan; ora nuove prove a sostegno della protezione arrivano da una delle più grandi e approfondite ricerche sulla questione.

A condurre il nuovo studio, un'analisi retrospettiva, un team di ricerca americano dell'Università di Miami coordinato dai professori Devinder Singh e Susan Taghioff, entrambi docenti presso la Scuola di Medicina Miller dell'ateneo. I ricercatori hanno analizzato le cartelle cliniche di oltre 70 milioni di pazienti caricate nel database specializzato TriNetX; all'interno di esso hanno individuato una coorte composta da due gruppi di 37.377 pazienti ciascuno, abbinati per età, sesso, etnia, vizio del fumo e condizioni di salute, alla stregua di diabete, obesità, malattia polmonare ostruttiva cronica e altre patologie. In pratica, sono stati estrapolati due gruppi speculari di pazienti, tutti quanti risultati positivi al tampone oro-rinofaringeo e con diagnosi di COVID-19. L'unica differenza tra il primo e il secondo gruppo, è il che i circa pazienti 40mila del primo avevano ricevuto il vaccino antinfluenzale, da 2 settimane a 6 mesi prima di risultare contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2.

Incrociando tutti i dati, gli scienziati americani hanno potuto calcolare l'incidenza di 15 esiti avversi/complicazioni legati alla COVID-19, determinando che nel gruppo non vaccinato contro l'influenza vi era un rischio sensibilmente superiore di svilupparli, oltre che di essere ospedalizzati e di finire in un reparto di terapia intensiva, sebbene non siano state riscontrate differenze in termini di mortalità (come emerso invece da altri studi). Ad esempio, chi non aveva ricevuto il vaccino contro l'influenza stagionale, entro 120 giorni dalla diagnosi di COVID-19 presentava un rischio fino al 20 percento superiore di finire ricoverato in un'unità di terapia intensiva; fino al 58 percento più alto di necessitare di una visita al pronto soccorso; fino al 45 percento più alto di sviluppare una sepsi; fino al 58 percento in più di probabilità di avere un ictus e fino al 40 percento in più di sviluppare una trombosi venosa profonda (TVP). Secondo gli esperti la protezione sarebbe dovuta a un miglioramento del sistema immunitario innato, anche se i meccanismi biologici sono da capire a fondo. Gli scienziati hanno anche osservato l'incidenza di malattie renali, anoressia, infarto, dolore articolare e altre condizioni.

Poiché si ritiene che la disponibilità dei vaccini anti Covid possa rimanere bassa in molti Paesi anche fino al 2023, fra l'altro con la necessità di “aggiustare il tiro” con preparati di nuova generazione in grado di affrontare al meglio le varianti emergenti, gli autori dello studio ritengono che la vaccinazione antinfluenzale possa essere un'arma estremamente preziosa per ridurre la sofferenza dei pazienti, la pressione sui sistemi sanitari e l'impatto socioeconomico devastante della pandemia. I risultati, naturalmente, dovranno essere confermati da indagini ancora più approfondite, ma i numerosi indizi raccolti tra le diverse ricerche indicano sicuramente una certa efficacia protettiva della vaccinazione antinfluenzale.

“Questa scoperta è particolarmente significativa perché la pandemia sta mettendo a dura prova le risorse in molte parti del mondo. Pertanto, la nostra ricerca, se convalidata da studi clinici randomizzati prospettici, ha il potenziale per ridurre il carico mondiale della malattia”, ha dichiarato il professor Singh in un comunicato stampa. Naturalmente, come spiegato dalla professoressa Taghioff, il vaccino antinfluenzale "non è affatto un sostituto del vaccino COVID-19", dunque gli esperti ritengono che tutti debbano riceverlo, laddove possibile. Usare entrambi i vaccini, inoltre, può essere utile anche per scongiurare una doppia epidemia parallela, considerando che alcuni esperti stimano un impatto abbastanza significativo delle prossime stagioni influenzali. In questi giorni la casa biofarmaceutica Moderna, che ha già sviluppato un vaccino anti Covid, ha avviato la sperimentazione sull'uomo del primo vaccino antinfluenzale a RNA messaggero: l'obiettivo ultimo è produrre un "super vaccino" contro tutti i principali patogeni respiratori. I dettagli della nuova ricerca sono stati presentati durante una conferenza stampa tenutasi all'annuale Congresso europeo sulla microbiologia clinica e le malattie infettive (ECCMID).

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