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Covid 19

Il vaccino anti COVID di AstraZeneca ha un’efficacia del 74,6% contro la variante inglese

Analizzando i tamponi di centinaia di pazienti contagiati da vari lignaggi del coronavirus SARS-CoV-2, un team di ricerca britannico ha determinato che il vaccino di AstraZeneca “AZD1222” ha un’efficacia nel prevenire l’infezione sintomatica provocata dalla “variante inglese” del 74,6 percento.
A cura di Andrea Centini
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Il vaccino anti COVID “AZD1222” (o ChAdOx1) di AstraZeneca ha un'efficacia del 74,6 percento contro la variante inglese del coronavirus SARS-CoV-2. Sebbene leggermente inferiore rispetto alla protezione offerta contro il lignaggio originale di Wuhan, che secondo le ultime indicazioni si attesterebbe all'82 percento (modulando i tempi delle dosi), si tratta di un risultato significativo contro un ceppo in evoluzione, responsabile di un'ondata di contagi e decessi in vaste aree del Regno Unito. Va infatti tenuto presente che, sulla base delle linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), un vaccino anti COVID sarebbe ritenuto “accettabile” con un'efficacia minima del 50 percento; dalla sperimentazione è emerso che le preparazioni a mRNA di Pfizer-BioNTech e Moderna-NIAID hanno raggiunto un'efficacia eccezionale del 95 percento circa, ma ciò non significa che un vaccino che ottiene il 74,6 percento – per giunta contro una variante minacciosa – non sia valido. La notizia, fra l'altro, giunge proprio nel momento in cui l'Italia sta per ricevere il primo lotto di 250mila dosi del vaccino, dopo la recente approvazione dell'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

A determinare l'efficacia della preparazione di AstraZeneca contro la variante inglese (chiamata B.1.1.7 o Variant of Concern 202012/01 – VOC-202012/01) è stato un team di ricerca britannico guidato da scienziati dell'Oxford COVID Vaccine Trial Group e del COVID-19 Genomics UK (COG-UK) Consortium, quest'ultimo responsabile del sequenziamento genomico dei campioni virali che ha permesso di individuare il nuovo lignaggio e la sua evoluzione. Gli scienziati, coordinati dal professor Andrew Pollard, docente di Infezione e Immunità Pediatrica dell'Università di Oxford, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato in laboratorio le particelle virali ottenute da oltre 1.500 tamponi oro-rinofaringei estratti da 500 pazienti (alcuni vaccinati e altri no), tutti risultati positivi al coronavirus SARS-CoV-2 tra il primo ottobre del 2020 e il 14 gennaio del 2021. La variante inglese è stata identificata la prima volta a settembre 2020 nel Sud-Est dell'Inghilterra, e da allora si è diffusa rapidamente divenendo quella dominante in varie regioni della Gran Bretagna (ma è stata isolata anche in numerosi altri Paesi, Italia compresa).

Dopo aver separato i campioni dei pazienti COVID contagiati dalla variante inglese da quelli infettati da altri lignaggi, gli scienziati hanno condotto dei test in laboratorio per capire quanto essi fossero sensibili agli anticorpi generati dal vaccino di AstraZeneca, messo a punto in collaborazione con lo Jenner Institute dell'Università di Oxford e con l'azienda italiana Advent-Irbm di Pomezia. Dai risultati è emerso che l'attività di neutralizzazione indotta dal vaccino contro la variante inglese era nove volte inferiore rispetto a quella rilevata verso i lignaggi differenti, tuttavia il vaccino è risultato efficace nel prevenire l'infezione sintomatica (COVID-19) nel 74,6 percento dai sintomi. La prevenzione dei sintomi per i lignaggi diversi dalla B.1.1.7 è invece stata dell'84 percento. In parole semplici, il vaccino AZD1222 potrebbe non essere molto efficace nel prevenire il contagio dalla variante inglese, tuttavia lo sarebbe contro l'infezione sintomatica, e dunque nel prevenire il ricovero e la morte a causa del virus. Tenendo presente che ad oggi hanno perso la vita 2,3 milioni di persone per la pandemia, si tratta indubbiamente di un risultato positivo.

Secondo i dati pubblicati dalla Public Health England (PHE), la variante inglese avrebbe un tasso di infezione tra il 25 percento e il 40 percento superiore rispetto a quello rilevato per altri lignaggi del coronavirus, inoltre il team di esperti del New and Emerging Respiratory Virus Threats Advisory Group (NEVRTAG) ha scoperto in una decina di casi l'emersione della mutazione E484K, tipica delle varianti brasiliana e sudafricana. Questa mutazione sarebbe responsabile della maggiore capacità delle varianti di provocare reinfezioni, eludendo gli anticorpi indotti dall'infezione naturale e risultando meno sensibile a quelli dei vaccini. La speranza è che tale mutazione sorta spontaneamente non si diffonda in modo capillare. Al momento, comunque, diversi vaccini approvati (e non approvati) hanno una certa efficacia protettiva contro le varianti emergenti, e se le campagne vaccinali procederanno rapidamente si dovrebbe riuscire a contenerle senza dover ricorrere a vaccini aggiornati (sebbene diverse case farmaceutiche sono già a lavoro per metterli a punto). Fondamentale è il rispetto da parte dei cittadini delle norme anti contagio di base, ovvero il distanziamento sociale, l'uso delle mascherine e il frequente lavaggio delle mani con acqua e sapone o un gel idroalcolico. In questo modo si spezza la catena dei contagi e si impedisce al virus di diffondersi, replicarsi e mutare, indipendentemente dalla variante coinvolta. I dettagli dello studio “Efficacy of ChAdOx1 nCoV-19 (AZD1222) Vaccine Against SARS-CoV-2 VOC 202012/01 (B.1.1.7)” non sono ancora stati sottoposti a revisione paritaria e pubblicati su una rivista scientifica (che sarà The Lancet, in caso di via libera). Sono comunque già consultabili cliccando sul seguente link.

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