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Il tuo gatto non può batterti a briscola, ma è molto più intelligente di una super IA

Nicolas P. Rougier, ricercatore specializzato in neuroscienze computazionali dell’Università di Bordeaux, ha sottolineato in un appassionato articolo pubblicato su The Conversation che benché siano stati compiuti passi in avanti enormi con le intelligenze artificiali e l’apprendimento automatico, un animale come un gatto resta comunque infinitamente superiore rispetto ad esse.
A cura di Andrea Centini
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Benché non possano battervi a briscola, con gli scacchi o sul vostro videogioco preferito, i gatti sono comunque infinitamente più intelligenti della IA più avanzata creata fino ad oggi. Con buona pace di chi crede in prossime e drammatiche rivolte di robot senzienti, pronti a sterminarci tutti per lo sfruttamento nelle catene di montaggio. A sottolinearlo in un articolo pubblicato su The Conversation è il dottor Nicolas P. Rougier, ricercatore specializzato in neuroscienze computazionali dell'Università di Bordeaux, qualcuno che ha a che fare con l'intelligenza artificiale ogni giorno.

La riflessione del ricercatore si è soffermata innanzitutto sulle abilità dei nostri gatti. È vero che molti passano l'intera giornata a riposare, mangiare e a leccarsi, ma questi animali, come sottolineato da Rougier, sono in grado di “camminare, correre, saltare e atterrare sulle zampe, ascoltare, guardare, imparare, giocare, nascondersi, essere felici, essere tristi, sperimentare la paura, sognare, cacciare, mangiare, combattere, fuggire, riprodursi, educare i proprio cuccioli” e moltissimo altro ancora. Benché non sia "intelligenza" nel senso stretto del termine, si tratta di fattori intimamente connessi alle sviluppate capacità cognitive dei felini, che vanno ben oltre i limiti basali delle intelligenze artificiali. Senza dimenticare che sono in grado di comunicare con noi attraverso il linguaggio del corpo; basti pensare al miagolio o allo strofinarsi sui nostri stinchi per ottenere la "pappa" o l'agognata finestra aperta.

Rougier sottolinea che nel campo dell'intelligenza artificiale siamo solo agli inizi dello sviluppo di ciascuno di questi fattori, che appartengano ai gatti, a noi e ad altre creature dotate di un'intelligenza animale. Lo studioso ha fatto l'esempio della locomozione, in particolar modo quella bipede come la nostra; riuscire a mettere a punto robot in grado di stare in piedi e mantenere l'equilibrio, anche in presenza di un piccolissimo ostacolo, è stata una sfida durissima per ingegneri e informatici. Ancora oggi i robot bipedi più avanzati, alcuni dei quali davvero spettacolari, non hanno un'adattabilità all'ambiente che li circonda paragonabile alla nostra. Rougier ricorda le goffe partite di calcio tra robot che coinvolgono migliaia di appassionati ogni anno.

Per non parlare del riconoscimento degli oggetti. Una IA deve essere addestrata con centinaia di migliaia di immagini di un determinato oggetto con posizioni e angoli di luce differenti, per essere in grado di assimilare l'informazione e determinare ciò che vede. Per riconoscere un gatto, ad esempio, un'intelligenza artificiale ha bisogno di un milione di immagini. Ma l'uomo, e così come altri animali, possono riconoscere i gatti dalle fusa, dal loro odore, da come si strofinano e comportano, tutti dati che per una IA addestrata al riconoscimento di un gatto non hanno alcun significato, anche per quelle più avanzate. Per sfruttare queste informazioni, spiega Rougier, le IA dovrebbero essere dotate di un'estensione corporea che permetta loro di esplorare e sperimentare il mondo. Un'intelligenza artificiale "può capire cos'è un drink se non sperimenta la sete? O il fuoco se non si è mai ustionata?", si chiede il ricercatore, sottolineando che gli algoritmi possono riconoscere gli oggetti, ma non capire nulla della loro natura. È il motivo per cui si sono verificati diversi incidenti con auto a guida autonoma, che possono scambiare un oggetto per un altro.

Per concludere, il ricercatore francese ha ricordato le straordinarie capacità di apprendimento della nostra specie, in particolar modo quella di "sviluppare un linguaggio su concetti appresi in precedenza". Rougier ha fatto un appassionante esempio sul libro autobiografico "The Story of My Life", nel quale si racconta la storia di Helen Keller, che perse udito, vista e parola all'età di due anni. Imparò a conoscere il mondo toccando oggetti grazie alla sua educatrice. Benché dunque siano stati fatti passi in avanti da gigante nell'apprendimento automatico, i limiti sono ancora enormi se confrontati a cosa siamo in grado di fare noi e gli altri esseri viventi, anche se non sanno giocare a briscola o a scacchi.

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