Il piano dell’OMS per distribuire il vaccino contro il coronavirus
Nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base della mappa interattiva sviluppata dall'Università Johns Hopkins, il coronavirus SARS-CoV-2 ha contagiato oltre 31,3 milioni di persone nel mondo e ne ha uccise 965mila (in Italia complessivamente si sono registrati 300mila contagi e poco meno di 38mila vittime). Ad oggi non esiste ancora una cura contro la COVID-19, l'infezione provocata dal patogeno emerso in Cina, e l'arma migliore per vincere la pandemia è considerata il vaccino: ce ne sono ben 187 in sviluppo, in base al documento “DRAFT landscape of COVID-19 candidate vaccines” dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, fra i quali 38 in sperimentazione clinica, ovvero già testati sull'uomo. Qualora i fondamentali studi clinici di Fase 3 dovessero fornire i risultati sperati, si ritiene che le prime milioni di dosi possano essere distribuite entro la fine di quest'anno. Ma in che modo?
Per garantire un accesso equo e globale al futuro vaccino, l'OMS ha messo a punto il programma COVAX, un piano che al momento è stato sottoscritto da numerosi Paesi, in rappresentanza del 64 percento della popolazione mondiale. L'obiettivo è acquistare dosi di vaccino sufficienti per tutelare le nazioni di tutto il mondo, anche le più povere che non possono acquistare lotti ingenti per proteggere la propria popolazione. Tra i principali firmatari vi è il “Team Europe”, l'insieme di Paesi rappresentati dalla Commissione europea, che contribuirà con un investimento iniziale di 400 milioni di Euro. Come specificato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il supporto all'alleanza COVAX ci avvicinerà alla sconfitta del virus, perché “non saremo al sicuro finché tutti, in Europa o altrove nel mondo, non saranno al sicuro”. Al momento sono stati raccolti 700 milioni di dollari, ma si ritiene ne serviranno almeno 2 miliardi entro la fine del 2020. Tra i grandi assenti del Programma COVAX figurano gli Stati Uniti e la Cina, che continuano a percorrere la strada degli accordi bilaterali, considerati una delle principali minacce al piano dell'OMS. I Paesi più ricchi potrebbero comprare la maggior parte delle dosi per i propri cittadini, o addirittura bloccare le esportazioni dei farmaci – comportamenti analoghi si registrarono con DPI e ventilatori meccanici durante il primo picco della pandemia. Per questo si ritiene fondamentale che a sottoscrivere il COVAX sia il maggior numero di Paesi possibili.
Nel piano dell'OMS c'è anche una vera e propria strategia per distribuire le dosi di vaccino, al fine di perseguire il virtuoso obiettivo della diffusione equa del futuro vaccino. La strategia – come indicato su Science – si basa sulla distribuzione in due fasi: nella prima tutti i Paesi riceverebbero un numero di dosi proporzionale alla popolazione, con l'obiettivo di fornire immunità al 3 percento dei cittadini (inizialmente il vaccino sarebbe destinato alle categorie più a rischio, come operatori sanitari e forze dell'ordine). In seguito sarebbero distribuite dosi fino a coprire il 20 percento della popolazione, con l'obiettivo di vaccinare le fasce più a rischio, come ad esempio gli anziani con più patologie (comorbilità) o gli immunodepressi.
La seconda fase, più delicata, prevede la distribuzione di dosi per la restante popolazione, al fine di raggiungere il più velocemente possibile l'immunità di gregge. In questo caso, tuttavia, le dosi di vaccino sarebbero consegnate con priorità sulla base di determinati criteri, come la velocità della curva epidemiologica – in parole semplici, il valore di Rt -; la diffusione parallela di altri patogeni (come quelli dell'influenza o del morbillo) e lo stato di ‘salute' del sistema sanitario nazionale, legato al numero di posti letto disponibili e soprattutto di quelli nelle unità di terapia intensiva.
Non tutti gli scienziati approvano questo piano, sottolineando che sin da subito dovrebbero essere tutelati i Paesi più a rischio. Il professor Ezekiel Emanuel, bioeticista presso l'Università della Pennsylvania, ad esempio ha sottolineato che dare il vaccino a Nuova Zelanda, Corea del Sud o a diversi Paesi africani in questo momento non aiuterebbe a ridurre il numero di morti, proprio perché lì la pandemia sta “mordendo” molto meno che altrove. È dunque possibile che verranno fatti dei cambiamenti al piano COVAX, e molto dipenderà anche dall'efficacia del potenziale vaccino. Se ad esempio dovesse proteggere meglio i giovani che gli anziani, l'intera impalcatura della prima fase della distribuzione potrebbe essere rivista. Non resta che attendere fiduciosi i risultati degli studi clinici di Fase 3 in atto, e sperare che le preparazioni in sviluppo siano davvero sicure e proteggenti.