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Il periodo di incubazione medio del coronavirus è più lungo, secondo uno studio

Fino ad oggi si riteneva che tra il contagio e la comparsa dei sintomi della COVID-19, l’infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, trascorressero in media 4-5 giorni, ma secondo un nuovo studio condotto da un team di ricerca cinese il periodo di incubazione medio sarebbe più lungo, ovvero di 7,76 giorni.
A cura di Andrea Centini
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Grazie a un nuovo metodo statistico e a un numero cospicuo di pazienti coinvolti, è stato determinato che il periodo di incubazione medio della COVID-19 (l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2) sarebbe più lungo rispetto alle stime fatte sino ad oggi. Si ritiene infatti che in seguito all'esposizione al patogeno (contagio) i sintomi possano insorgere in media a 7,76 giorni di distanza, una tempistica sensibilmente superiore rispetto ai 4-5 giorni considerati attendibili. Nell'ultimo aggiornamento sulla pagina dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dedicata alle domande e alle risposte sulla pandemia il tempo medio di incubazione viene indicato in 5-6 giorni, con un range che spazia da 1 a 14 giorni. Sul sito dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) viene riportato che la stima "vari in media tra 3 e 7 giorni e fino a un periodo massimo di 14 giorni", mentre il Ministero della Salute indica che la stima attuale "vari fra 2 e 11 giorni, fino ad un massimo di 14 giorni".

A determinare che il tempo di incubazione medio del coronavirus possa essere più lungo di quanto calcolato in precedenza è stato un team di ricerca guidato da scienziati del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) americano e del Centro internazionale di ricerca matematica dell'Università di Pechino, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Ufficio di Epidemiologia presso il Chinese Center for Disease Control and Prevention e del Centro di Scienze Statistiche dell'Università Peking. Gli scienziati, coordinati dal professor Jing Qin, membro del Biostatistics Research Branch presso l'istituto guidato dall'infettivologo di fama internazionale Anthony Fauci, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i dati di pazienti di Wuhan – la metropoli cinese dove è originata la pandemia – dei quali erano noti nel dettaglio eventuali spostamenti e comparsa dei sintomi clinici. Ricordiamo infatti che il periodo di incubazione rappresenta l'intervallo di tempo che intercorre tra il contagio e le prime manifestazioni cliniche. Nel caso della COVID-19 figurano febbre, tosse secca, perdita dell'olfatto e del gusto, problemi gastrointestinali e molti altri ancora.

I dati dei pazienti coinvolti sono stati ottenuti dalle commissioni sanitarie provinciali e municipali cinesi, oltre che dai ministeri della salute di altri Paesi in cui essi hanno viaggiato, con l'inclusione di poco meno di 13mila casi confermati al di fuori della provincia di Hubei (dove si trova Wuhan). Per il calcolo finale sono stati presi in considerazione i dati di 1.084 pazienti, che soddisfacevano tutti i criteri per ottenere la massima precisione dal modello statistico messo a punto da Qin e colleghi. L'età media di questo gruppo di pazienti era di circa 40 anni (il più giovane aveva 6 mesi, il più anziano 86 anni) e nella maggior parte dei casi si trattava di uomini. Incrociando tutti i dati e utilizzando un metodo che riduce il cosiddetto bias del ricordo, ovvero il ricordo impreciso di eventi passati come appunto l'insorgenza di eventuali sintomi di una malattia, è stato stimato che il periodo di incubazione medio dei 1.084 pazienti era di 7,75 giorni, con il 10 percento di essi che ha sviluppato i sintomi 14,28 giorni dopo.

Conoscere in modo accurato le tempistiche tra contagio e comparsa dei sintomi è un'informazione preziosissima per le autorità sanitarie, che possono migliorare l'efficacia delle misure di contenimento per spezzare la catena dei contagi. I dettagli della ricerca “Estimation of incubation period distribution of COVID-19 using disease onset forward time: a novel cross-sectional and forward follow-up study” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica ScienceAdvances.

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