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Il pensiero si trasforma in parole: l’esperimento che vuole ridare ‘voce’ a chi l’ha persa

Monitorando l’attività cerebrale di un paziente epilettico impegnato a suonare il piano è stato dimostrato che ascoltare musica o immaginarla non fa differenza per i nostri neuroni, rispondono allo stesso modo. La scoperta potrebbe aiutare a ridonare la parola ai pazienti afasici.
A cura di Andrea Centini
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Quando ascoltiamo la musica o la immaginiamo nella nostra testa, l'attività cerebrale è praticamente identica; una scoperta che potrebbe portare alla creazione di dispositivi in grado di convertire in segnali sonori ciò che pensiamo, e ridonare così la parola a chi l'ha perduta. È la speranza di un team di ricerca svizzero della Scuola Politecnica Federale di Losanna (EPFL), che ha condotto un affascinante esperimento dal quale è emerso che, quando si tratta di note musicali, non c'è molta differenza tra percezione e immaginazione per i neuroni del nostro cervello.

Gli studiosi, coordinati dalla dottoressa Stéphanie Martin, ricercatrice presso la Defitech Foundation Chair in Human-Machine Interface (CNBI) dell'ateneo elvetico, con la collaborazione dell'Università di Berkley (California) hanno coinvolto nel progetto un paziente epilettico dotato di uno spiccato talento musicale. Il volontario, pianista da molti anni, soffre di una forma di epilessia non curabile con i farmaci, per questo è stato sottoposto a una procedura estremamente delicata e invasiva per monitorarne l'attività cerebrale. Se da un lato, grazie alla tecnologia attualmente disponbile, è infatti piuttosto semplice riuscire a capire come le varie parti del cervello elaborino la stimolazione musicale, dall'altro è estremamente complesso capire cosa succede quando la musica la immaginiamo.

Per questo nel cervello del paziente sono stati impiantati alcuni elettrodi molto in profondità, con una tecnica chiamata elettrocorticografia. Una volta preparato, al paziente è stato chiesto di eseguire un brano al piano digitale con volume normale, al fine di raccogliere tutte le informazioni sulla sua attività cerebrale. Nella seconda fase dell'esperimento gli è stato chiesto di eseguire nuovamente lo stesso pezzo, stavolta spegnendo il volume della tastiera e immaginando le note nella sua mente. Incrociando i dati ottenuti dai due test, è emerso che la corteccia uditiva e altre parti del cervello rispondevano alla musica reale e immaginaria allo stesso modo. La speranza è poter applicare questi risultati al linguaggio, e un giorno, in qualche modo, si potrebbe arrivare a riprodurre i suoni immaginati nella testa delle persone, per ridare la parola ai pazienti afasici, cioè a coloro che hanno perso l'uso della parola a causa di lesioni cerebrali, disturbi psichiatrici e altre tipologie di deficit.

Gli ostacoli tuttavia non sono pochi, come ha sottolineato la dottoressa Martin: “siamo nelle fasi iniziali di questa ricerca. La lingua è un sistema molto più complesso della musica: le informazioni linguistiche non sono universali, il che significa che vengono elaborate dal cervello in varie fasi”. “Questa tecnica di registrazione – ha aggiunto la ricercatrice – è invasiva e la tecnologia deve essere più avanzata per poter misurare l'attività cerebrale con maggiore precisione”. I dettagli dell'affascinante studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Cerebral Cortex.

[Credit: Robert_z_Ziemi]

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