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Il nostro corpo riconosce anche le varianti Covid e si “attiva” contro il virus

Lo indicano i risultati di una ricerca condotta dal NIAID che ha analizzato il siero di persone che hanno superato la malattia prima della comparsa delle versioni mutate di Sars-Cov-2: “La risposta delle cellule T nei guariti, e probabilmente nei vaccinati, non è influenzata dalle mutazioni presenti nelle varianti di preoccupazione”.
A cura di Valeria Aiello
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Micrografia elettronica a scansione di una cellula T / NIAID
Micrografia elettronica a scansione di una cellula T / NIAID

Tra i principali timori che ruotano attorno alle varianti del coronavirus Sars-Cov-2 c’è la possibilità che alcune versioni mutate possano eludere la risposta immunitaria indotta da precedenti infezioni o dalle vaccinazioni anti-Covid, rendendo potenzialmente più probabile la reinfezione e vanificando gli sforzi dell’immunizzazione di massa. Parte delle preoccupazioni riguarda la variante inglese (B.1.1.7), la sudafricana (B.1.351) e la giapponese (B.1.1.248) per la quantità di mutazioni accumulate a livello del gene S che codifica per la Spike, la proteina che il virus utilizza per legare le cellule e penetrare al loro interno, sfruttata come antigene anche dagli attuali vaccini per indurre la risposta immunitaria.

Il rischio che i cambiamenti della proteina Spike possano permettere al virus di sfuggire al riconoscimento degli anticorpi neutralizzanti è stato oggetto di diversi studi ma, nell’indagare su questa possibilità, un team di ricerca del National Institute of Allergy and Infectious Disease (NIAID) che ha coinvolto gli studiosi della Johns Hopkins University School of Medicine, della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health e della società ImmunoScape, ha esaminato anche la protezione conferita dalla risposta immunitaria cellulare, ossia quella mediata dai linfociti, nello specifico dalle cellule T CD8+, osservando il loro ruolo chiave nell’azione contro Sars-Cov-2.

Il ruolo delle cellule T contro le varianti Covid

Gli studiosi hanno valutato se le cellule T CD8+ presenti nel sangue di 30 pazienti contagiati dal virus della prima ondata pandemica fossero in grado di riconoscere le tre nuove varianti, osservando che la risposta di queste cellule specifiche per Sars-Cov-2 è risultata in gran parte intatta. “Nella risposta immunitaria a SARS-CoV-2 – indicano i ricercatori –  la cellula T CD8 + è rimasta attiva contro il virus”.

Questa osservazione, i cui dettagli sono riportati in uno studio pubblicato su Open Forum Infectious Disease, ha portato i ricercatori a suggerire che la risposta delle cellule T nei soggetti convalescenti, e molto probabilmente nei vaccinati, non è sostanzialmente influenzata dalle mutazioni presenti nelle tre varianti e dovrebbe dunque offrire protezione da una nuova infezione.

Tuttavia, i dettagli sull’esatto livello e sulla composizione della risposta umorale, ovvero quella mediata da molecole circolanti, come gli anticorpi, e dell’immunità cellulare, restano ancora sconosciuti. Gli studiosi ritengono che siano necessarie “risposte multivalenti forti e ampie” sia degli anticorpi sia delle cellule T per una risposta immunitaria efficace. “Le cellule T CD8+ – spiegano in una notalimitano l’infezione, riconoscendo parte della proteina virale presente sulla superficie delle cellule infette ed eliminando queste cellule”. Pertanto, sottolineano l’importanza di monitorare l’ampiezza, l’entità e la durata delle risposte dei linfociti T anti-Sars-Cov-2 nei guariti da Covid-19 e nei vaccinati, come parte di qualsiasi valutazione per determinare se sono necessarie dosi di richiamo.

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