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Covid 19

Per bloccare la variante sudafricana serve un livello di anticorpi sei volte più alto

Lo indica un nuovo studio pubblicato su Nature da un team di ricerca guidato dell’Istituto Pasteur di Parigi: “La capacità neutralizzante degli anticorpi indotti dalla vaccinazione e dall’infezione naturale è inferiore a quella rilevata contro la variante inglese”.
A cura di Valeria Aiello
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Particelle di coronavirus Sars-Cov-2 / NIAID
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Gli anticorpi indotti dalla vaccinazione e dall’infezione da coronavirus sono meno efficaci nel neutralizzare alcune varianti del coronavirus, in particolare quella sudafricana. Lo confermano i risultati di un nuovo studio pubblicato su Nature Medicine da un team di ricerca francese guidato dall’Istituto Pasteur di Parigi che ha coinvolto gli studiosi del Centro ospedaliero regionale di Orléans, dell’Ospedale Universitario di Tours, dell’Ospedale intercomunale di Créteil, dell’Ospedale Universitario di Strasburgo e dell’Ospedale Europeo Georges Pompidou. I ricercatori hanno analizzato due versioni mutate del coronavirus, la variante inglese (B.1.1.7) e quella sudafricana (B.1.351), valutando la loro sensibilità agli anticorpi neutralizzanti presenti nei campioni di siero di persone che sono state vaccinate o precedentemente contagiate a Sars-Cov-2. Questa sensibilità è stata inoltre confrontata con quella diretta contro un’ulteriore variante di riferimento (D614G) che, fino a pochi mesi fa, era la più diffusa nella popolazione francese.

La variante sudafricana di Sars-Cov-2

I ricercatori hanno dimostrato che, mentre la variante inglese è stata neutralizzata nella stessa misura di D614G, quella sudafricana è molto meno sensibile agli anticorpi neutralizzanti. In particolare, gli studiosi hanno osservato che per neutralizzare la variante sudafricana, la concentrazione di anticorpi deve essere sei volte superiore rispetto a quella necessaria contro D614G. Questa differenza è stata osservata anche analizzando il siero di persone vaccinate, i cui anticorpi hanno mostrato un calo apprezzabile dell’attività neutralizzante contro la variante sudafricana.

Le due varianti, entrambe considerate “di preoccupazione” e soggette sorveglianza epidemiologica a livello nazionale e internazionale, sono state isolate a partire dai campioni forniti dal Centro francese di riferimento per i virus delle infezioni respiratorie, ubicato presso l’Istituto Pasteur. “In precedenza – precisano gli studiosi – l’efficacia di neutralizzazione era stata valutata principalmente utilizzando test con pseudovirus, pertanto abbiamo ritenuto fondamentale utilizzare i veri ceppi virali per valutare la loro sensibilità agli anticorpi neutralizzanti”.

I risultati dello studio hanno indicato che la variante inglese è stata neutralizzata dal 95% dei sieri delle persone precedentemente infettate da Sars-Cov-2, i cui campioni sono stati valutati fino a nove mesi dopo la comparsa dei sintomi di Covid-19. Percentuali di neutralizzazione analoghe sono state osservate per D614G, con nessuna differenza sostanziale nella concentrazione di anticorpi necessaria per neutralizzare B.1.1.7.

Il livello di anticorpi per neutralizzarla

D’altra parte, gli studiosi hanno osservato un calo del 40% dell’attività neutralizzante contro la variante sudafricana (B.1.351), segnalando che per la neutralizzazione erano necessarie concentrazioni di anticorpi di circa sei volte superiori a quelle richieste da D614G. “Abbiamo dimostrato che le varianti più trasmissibili, come quella sudafricana, sono diventate parzialmente resistenti agli anticorpi indotti dall’infezione naturale – ha commentato Olivier Schwartz, co-autore dello studio e responsabile dell’Unità virus e immunità dell’Istituto Pasteur – . Questa ridotta efficacia è particolarmente visibile nelle persone con bassi livelli di anticorpi”.

Il team ha anche analizzato i campioni di siero di persone che hanno ricevuto il primo vaccino anti-Covid autorizzato in Europa, il preparato del colosso farmaceutico Pfizer sviluppato dalla tedesca BioNTech. Il siero delle persone vaccinate è stato esaminato a due a quattro settimane dalla prima iniezione, mostrando che dopo 14 giorni dalla prima dose, l’attività degli anticorpi neutralizzanti era misurabile solo nei confronti di D614G, mentre la variante B.1.1.7 ha cominciato ad essere neutralizzata solo nella terza settimana, anche se in modo meno efficiente di D614G. La risposta anti-B.1.351, al contrario, è rimasta negativa fino alla terza settimana, per poi essere rilevata nella quarta.

L’ulteriore analisi a quattro settimane dalla prima dose (dunque una settimana dopo la seconda iniezione), ha mostrato che i campioni di siero dei vaccinati sono risultati altrettanto efficaci nel neutralizzare sia la variante inglese sia D614G, ma si sono rivelati meno efficaci contro la variante sudafricana. Nel dettaglio, l’80% dei campioni di siero ha mostrato attività neutralizzante nei confronti di D614G e B.1.1.7 rispetto all’60% osservato con B.1.351. “Il vaccino ha generato una risposta neutralizzante che ha mirato efficacemente ai ceppi D614G e B.1.1.7, nonostante un ritardo nella comparsa di anticorpi neutralizzanti contro B.1.1.7 – hanno concluso i co-autori Sylvie van der Werf, responsabile del Centro di riferimento per i virus delle infezioni respiratorie, e Thierry Prazuck, direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell’Ospedale regionale di Orléans – . L’efficacia degli anticorpi neutralizzanti per il ceppo B.1.351 è risultata inferiore”.

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