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Il mistero dello scheletro ‘alieno’ di Ata svelato dopo 15 anni di dubbi

Lo scheletro ‘alieno’ di Ata non è imparentato con qualche extraterrestre: i ricercatori sono riusciti a capire di cosa si tratta 15 anni dopo il ritrovamento.
A cura di Zeina Ayache
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Era il 2003 quando i ricercatori trovarono una mummia umanoide nel deserto di Atacama in Cile: 15 centimetri la sua lunghezza e una testa allungata che hanno fatto pensare a tutti che potesse trattarsi di un alieno. Ma la realtà è ben diversa dal mistero che gira intorno a questa scoperta da ormai 15 anni.

‘Origini umane'. Per giungere alle loro conclusioni, i ricercatori hanno sequenziato l'intero genoma di Ata, risalente a circa 40 anni fa, e hanno scoperto che si tratta di un essere umano presumibilmente di 6-8 anni che inizialmente sembrava avere l'8% di DNA non corrispondente al genoma umano: analisi successiva invece hanno permesso di riscontrare una corrispondenza del 98%, insomma c'era stato un errore di calcolo. Dai dati raccolti sono emerse non una, ma ben sette mutazioni genetiche responsabili dell'aspetto ‘alieno' di questa mummia.

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Corpo e malformazioni. Ata, oltre ad essere lunga solo 15 centimetri, mostra anche meno costole del previsto, un cranio allungato, un'età ossea accelerata. I test effettuati hanno dunque rivelato che Ata ha discendenza cilena e che le sette mutazioni di cui è caratterizzata hanno portato a deformità ossee, malformazioni facciali o diplasia scheletrica, tutto ciò noto più comunemente con il termine ‘nanismo'. “Tutti questi risultati insieme forniscono una caratterizzazione molecolare del fenotipo peculiare di Ata che probabilmente deriva da più mutazioni genetiche che influenzano lo sviluppo osseo e l'ossificazione” spiegano i ricercatori.

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Conclusioni. Insomma, l'ennesima ‘creatura aliena' trovata si è rivelata non avere legami di parentela con ET. Nel caso specifico, ciò che rende speciale la scoperta della vera natura di Ata è in generale la possibilità da parte del mondo scientifico di entrare nel dettaglio del DNA: questo infatti rappresenta un enorme passo avanti per lo studio dell'essere umano. Il caso specifico inoltre, spiegano i ricercatori, mostra ancora una volta che invece di cercare una causa unica responsabile di una condizione, dobbiamo aprirci su più fronti: “la ricerca di una singola mutazione o di mutazioni ngià note per essere la causa di una determinata malattia può scoraggiare i medici dalla ricerca di altre potenziali cause genetiche e possibili trattamenti per i pazienti”, concludono gli esperti.

Lo studio. La ricerca, intitolata “Whole-genome sequencing of Atacama skeleton shows novel mutations linked with dysplasia”, è stata pubblicata su Genome Research.

[Foto di Bhattacharya S et al. 2018. e Emery Smith]

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