Il desiderio del partner alimentato dalla distanza: così si “accende” il cervello dei ricongiunti
Tanto più forte e duraturo è un legame, maggiore è il desiderio di riabbracciare il partner quando si è distanti, e una volta ricongiunti, il cervello si “attiva” – in un'area chiamata nucleus accumbens – in modo direttamente proporzionale alla solidità della relazione. In altri termini, la distanza non fa che alimentare questa connessione emotiva, che “esplode” al nuovo incontro. Un meccanismo che potrebbe spiegare la ragione per cui alcune delle relazioni più stabili sono proprio quelle in cui periodi di vicinanza si alternano all'assenza, ma anche l'evoluzione della monogamia nella nostra e in altre specie, oltre che il disagio sperimentato a causa del distanziamento dai propri cari a causa del coronavirus.
Le dinamiche neuronali che sono alla base della formazione e del mantenimento di questi legami stabili sono estremamente complicate da comprendere, per questa ragione un gruppo di scienziati ha deciso di analizzare l'attività cerebrale di piccoli roditori (chiamati arvicole) che restano legati per tutta la vita. Le arvicole sono infatti monogame, come pochissime altre specie di mammiferi (dal 3 al 5 percento del totale). A studiarle è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati dell'Università del Colorado di Boulder, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Psichiatria dell'Università di San Francisco, del Medical Scientist Training Program dell'Università Columbia di New York e del Neuroscience Graduate Program dell'Università Brown.
Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Zoe R. Donaldson, docente presso i dipartimenti di Biologia e di Psicologia e Neuroscienze dell'ateneo del Colorado, hanno sfruttato complesse tecniche di imaging cerebrale per capire quali fossero i neuroni attivi delle arvicole in tre diverse situazioni: quando incontravano un'altra arvicola; tre giorni dopo l'accoppiamento e 20 giorni dopo la “convivenza”. Poiché studi precedenti hanno rilevato che l'area cerebrale del nucleus accumbens (coinvolto nei circuiti della motivazione e della ricompensa) si attiva in modo differente nella nostra specie quando si tiene per mano il proprio partner o uno sconosciuto, Donaldson e colleghi hanno immaginato che lo stesso sarebbe avvenuto quando un'arvicola interagiva con un esemplare diverso dal compagno di vita. Ma così non è stato.
Nonostante questo risultato inatteso, gli scienziati hanno fatto una scoperta molto interessante. Uno specifico gruppo di neuroni si attivava intensamente quando un'arvicola andava incontro al proprio partner dopo un periodo di separazione. “Si immagini la classica scena romantica della corsa con abbraccio all'aeroporto”, scrivono gli autori della ricerca su un comunicato stampa. Maggiore era stato il tempo condiviso fra le due arvicole, e più forte risultava l'"accensione" del cervello durante l'approccio. L'avvicinamento a un'arvicola sconosciuta ha invece attivato cellule totalmente diverse. Gli scienziati ritengono che siano coinvolti ormoni associati al piacere, alla ricompensa e all'amore come ossitocina e dopamina, oltre che la vasopressina, ma naturalmente non è chiaro se questi processi si verifichino nello stesso modo nell'uomo.
Gli scienziati sottolineano che i risultati di questa ricerca possono aiutare a comprendere il disagio che stiamo provando a causa della separazione dai cari, resasi necessaria per contrastare la pandemia di coronavirus. “Questi sentimenti negativi che molti di noi stanno sperimentando in questo momento possono derivare da una discrepanza: da una parte abbiamo un segnale neuronale che ci dice che stare con i nostri cari ci farà sentire meglio, dall'altra le restrizioni indicano che non possiamo soddisfare questa necessità. È l'equivalente emotivo di non mangiare quando abbiamo fame. Ma adesso non stiamo saltando un pasto, stiamo lentamente morendo di fame”, ha dichiarato la professoressa Donaldson, sottolineando gli effetti della quarantena prolungata. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica PNAS.