Il declino cognitivo da cannabis è ancora tutto da dimostrare?
L'argomento è delicato e per tale ragione, fin dagli anni sessanta, accompagna e divide l'opinione pubblica e il mondo scientifico. Se, da una parte, il dibattito è aperto all'interno di alcuni Paesi sulla possibilità di legalizzare la cannabis (anche esclusivamente a scopi terapeutici), dall'altra gli studi atti a dimostrare gli effetti del suo consumo sull'organismo umano e, soprattutto, sulle funzioni cognitive sono stati fino ad oggi decine e, senza dubbio, non tutti concordi nel riconoscere la pericolosità delle sostanze derivate dalla pianta di canapa. Un articolo de Le Scienze riporta il confronto tra due recenti studi che, sulla base di medesimi dati ma differenti approcci metodologici, giungono a conclusioni non del tutto concordi.
Lo studio sui cittadini neozelandesi – Se c'è una relativa unanimità nel riconoscere quali sono gli effetti nell'immediato di marijuana ed hashish, per quanto riguarda i danni riscontrabili sulla lunga durata e soprattutto la loro entità (se si possa parlare di una vera e propria intossicazione irreversibile in grado di influire per sempre sul cervello, anche dopo aver interrotto il consumo) si è ancora ben lontani da un punto di arrivo soddisfacente che possa porre fine alla discussione. Uno tra i più recenti studi sull'argomento sembrava portare ad una svolta: frutto delle analisi condotte sui dati riguardanti oltre un migliaio di cittadini neozelandesi, il lavoro sembrava aver dimostrato come un abituale consumo di cannabis, in particolar modo a partire dall'adolescenza, poteva portare ad un notevole calo nelle prestazioni intellettive, quantificato in otto punti di Q. I. in meno come media a partire dal trentottesimo anno d'età. Il campione preso in esame faceva parte del Dunedin Longitudinal Study che segue una coorte di individui a partire dagli anni di nascita, 1972-1973, fino ai giorni nostri, attraverso test per valutare parametri neuropsicologici e domande utili a conoscere abitudini e stili di vita.
Questioni di metodo – Ma tali risultati, pubblicati diversi mesi fa da PNAS, sono attualmente oggetto di critica da parte di Ole Rogeberg, economista del Ragnar Frisch Centre for Economic Research di Oslo, che, in un articolo edito dalla medesima rivista dell'accademia delle scienze americane, spiega che l'approccio metodologico utilizzato sui cittadini neozelandesi non può essere considerato del tutto corretto. La correlazione individuata tra consumo di cannabis e declino cognitivo, secondo l'obiezione di Rogeberg, era effettivamente un mero dato statistico che, se può essere indicato come significativamente valido, non individua però alcun rapporto di causa-effetto tra i due fattori: insomma nulla può escludere che un terzo elemento sia alla base di entrambe le manifestazioni. Né, tanto meno, che un deficit di qualunque tipo nelle funzioni cognitive predisponga all'uso di droga e non il contrario.
Prospettiva socioeconomica – Analizzando così i dati da un punto di vista differente, Rogeberg avrebbe, ad esempio, messo in evidenza come i soggetti che iniziano ad assumere droghe leggere in giovane età risultano per lo più accomunati da alti fattori di rischio riconducibili allo status sociale di provenienza (molti dei casi presi in esame erano appartenenti alla comunità Maori che, soprattutto nelle grandi città, costituisce ancora una realtà di forte emarginazione) oppure da precedenti problemi e disturbi del comportamento già segnalati. Insomma, in un modello diverso ma con i medesimi dati alla mano, la correlazione tendeva a riproporsi ma riducendo di molto il ruolo della cannabis nelle valutazioni, ovvero mettendo in luce come la provenienza socioeconomica poteva influire sulle capacità intellettive portando, inoltre, a scegliere con più facilità la strada delle droghe leggere.
Un dibattito senza conclusioni? – Chiaramente, lo studio di Rogeberg non punta a dimostrare la non esistenza del legame tra cannabis e declino intellettivo in età adulta ma ripropone il vecchio problema dinanzi al quale si trovano le discipline scientifiche come la medicina nell'affrontare i dati statistici: quando manca la dimostrazione del nesso causale, non può bastare la semplice correlazione per porre le fondamenta di una teoria. Questo significa, soltanto, che gli studi finalizzati a conoscere gli eventuali effetti negativi della cannabis e, chiaramente, anche quelli positivi nell'ambito terapeutico, dovrebbero proseguire senza lasciare nulla al caso.