Il coronavirus può mutare e diventare resistente al vaccino
Davanti a una pandemia che ha causato un milione e mezzo di morti nel mondo, l’arrivo di un vaccino sicuro ed efficace potrà aiutarci a tornare alla normalità. Tuttavia, secondo gli esperti, le formulazioni in fase di sperimentazione (complessivamente oltre 200, di cui quasi una cinquantina attualmente in fase di valutazione clinica) non fermeranno l’evoluzione del coronavirus Sars-Cov-2, ma potrebbero addirittura spingerlo a mutare e sviluppare una resistenza nei confronti del vaccino. “Sebbene meno comune della resistenza agli antibiotici, esiste la possibilità che un virus possa diventare resistente a un vaccino” scrivono David Kennedy e Andrew Read, specialisti in resistenza virale del Center for Infectious Disease della Pennsylvania State University in un articolo recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Plos Biology, sollecitando “uno sforzo aggiuntivo” in termini di monitoraggio degli effetti del vaccino e della risposta virale per valutare il rischio di resistenza.
“Proprio come la resistenza agli antibiotici – spiegano gli studiosi – può svilupparsi e si sviluppa la resistenza ai vaccini. Sebbene per molti vaccini non si sia mai verificata (come nel caso del vaccino contro il morbillo che è stato ampliamente utilizzato per decenni senza che il virus abbia mai manifestato la capacità di trasmettersi tra persone vaccinate), lo Streptococcus pneumoniae (il principale responsabile delle polmoniti negli adulti, ndr) ha rapidamente sviluppato una resistenza al vaccino (PCV7), rendendo necessario lo sviluppo e la distribuzione di un nuovo vaccino (PCV13)”.
Perché si sviluppa la resistenza a un vaccino?
A nostra conoscenza, dicono i ricercatori, tutti i casi confermati di resistenza al vaccino possono essere attribuiti “all’assenza di almeno una delle tre caratteristiche chiave” che la maggior parte di vaccini possiede: a) il vaccino induce una risposta immunitaria che protegge prendendo di mira più siti virali (epitopi) contemporaneamente; b) il vaccino inibisce la crescita del patogeno e arresta la trasmissione da parte delle persone protette dal vaccino; c) la risposta immunitaria indotta dal vaccino protegge da tutte le varianti circolanti del patogeno bersaglio. “Combinate insieme, queste tre caratteristiche rendono la probabilità di sviluppo di resistenza al vaccino incredibilmente piccola”.
Ad ogni modo, per quanto piccola, questa probabilità può avere un impatto negativo sulla salute pubblica. “Nel caso nelle settimane, mesi o anni tra la vaccinazione e l’esposizione, emergesse la resistenza al vaccino, un individuo vaccinato potrebbe non essere protetto. E se la resistenza diventasse diffusa e comune, intere campagne di vaccinazione potrebbero essere rese inefficaci retroattivamente” aggiungono di due studiosi.
Affermazioni che fanno dunque riflettere in considerazione dei dubbi sui cmposti attualmente in fase di sperimentazione, non solo in termini di sicurezza ed efficacia, ma anche per quanto concerne la possibilità che i primi vaccini contro Covid-19 proteggano solo dalle forme gravi della malattia ma non dall’infezione. “Per evitare di essere colti alla sprovvista dallo sviluppo della resistenza ai vaccini, i campioni prelevati dai volontari che si stanno sottoponendo alla somministrazione dei candidati vaccini potrebbero essere utilizzati per verificare l’eventuale comparsa di resistenza prima che la formulazione sia autorizzata”.
Le varianti mutate già conosciute
D’altra parte, sebbene Sars-Cov-2 abbia mostrato una frequenza di mutazione dalle cinque alle dieci volte inferiore rispetto ad altri virus, come ad esempio quelli dell’influenza e dell’epatite C, ad oggi si conoscono già diverse varianti del virus originale identificato per la prima volta nella città di Wuhan, tutte dovute all’evoluzione naturale del patogeno. Una sola, chiamata D614G, avrebbe al momento dimostrato di fornire al virus un vantaggio in termini di trasmissione da persona a persona, una capacità determinata da una mutazione che si è scoperto interessare il gene che codifica per la proteina S o Spike che permette al patogeno di legare il recettore Ace2 sulle cellule umane per penetrare al loro interno, la stessa proteina adoperata nella maggior parte dei vaccini per stimolare la risposta immunitaria. In ogni caso, al momento, non ci sono prove che questa mutazione abbia reso il virus più pericoloso o stia complicando lo sviluppo dei vaccini.
La variante trasmessa dai visoni
Ad alimentare le preoccupazioni riguardo alla possibilità che possano già essersi sviluppate delle varianti di Sars-Cov-2 meno suscettibili all’azione dei vaccini, le notizie sui visoni arrivate dalla Danimarca, dove si sono registrati 12 casi di infezione non grave in operatori del settore che sono stati contagiati da una varianti trasmesse dagli animali che a loro volta era stati contagiati dall’uomo.
Il timore che questa variante, denominata cluster 5, possa risultare resistente ai vaccini in fase di sviluppo ha spinto il primo produttore mondiale di pellicce a sopprimere i suoi visoni, abbattuti tra le polemiche. Tuttavia, in un articolo pubblicato su Nature, i ricercatori di Oxford hanno concluso che le mutazioni identificate nei visoni non eluderebbero l’efficacia del vaccino. Una tesi sostenuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che ha affermato di non aver avuto alcuna prova che la variante possa interferire con le formulazioni in fase di sviluppo. Ad ogni modo, in via precauzionale, l’Italia ha sospeso fino al febbraio 2021 l’attività degli allevamenti di visoni.