Il coronavirus nei bambini determina una risposta immunitaria più debole rispetto agli adulti
L’infezione da coronavirus Sars-Cov-2 nei bambini determina una risposta immunitaria più debole rispetto agli adulti. Lo indicano i ricercatori del Columbia University Irving Medical Center di New York in una lettera di ricerca pubblicata sulla rivista Nature Immunology con cui suggeriscono che questa differenza può aiutare a spiegare perché i più giovani non sviluppano forme gravi e prolungate di Covid-19.
Nei bambini risposta immunitaria più debole rispetto agli adulti
Studi precedenti hanno indicato che una forte risposta immunitaria è associata un peggior decorso della malattia e in tal senso, la risposta più debole osservata nei bambini potrebbe indicare “un distinto decorso clinico dell’infezione, con implicazioni per lo sviluppo di strategie mirate all’età nello screening e nella protezione della popolazione” spiegano gli studiosi. In particolare, i ricercatori hanno esaminato la risposta anticorpale contro Sars-Cov-2 in 79 persone, divise in due fasce di età (3-18 anni e 19-84 anni) e in quattro gruppi di pazienti: 19 donatori di plasma adulti che hanno sconfitto l’infezione senza richiedere il ricovero in ospedale; 13 adulti ricoverati con insufficienza respiratoria dovuta a una forma grave di Covid-19; 31 bambini asintomatici o paucisintomatici e 16 bambini che hanno invece sviluppato MIS-C, la sindrome infiammatoria multisistemica simile alla malattia di Kawasaki che in questi mesi si è scoperto essere legata all’infezione da coronavirus.
L’analisi ha evidenziato che la gamma di anticorpi sviluppata in risposta all’infezione era diversa nelle due fasce di età: in particolare, bambini e ragazzi hanno mostrato una risposta anticorpale specifica contro Sars-Cov-2 ampiamente limitata alle immunoglobuline G (IgG) dirette contro la proteina Spike che si trova sulla superficie del virus. In altre parole, i più giovani hanno prodotto principalmente un solo tipo di anticorpo anti-Spike e, spiegano i ricercatori, i livelli di IgG complessivi osservati avevano “una più bassa attività neutralizzante” rispetto a quella degli adulti, indipendentemente dalla gravità malattia. Gli adulti, al contrario, producevano una più ampia gamma di anticorpi diretti contro lo Spike e altre proteine virali, con la caratteristica che queste immunoglobuline erano associate a una più potente attività di neutralizzazione del virus.
Bambini e ragazzi hanno dunque mostrato “una risposta immunitaria meno protettiva, ma avevano anche una riposta anticorpale minore” ha detto la professoressa Donna L. Faber, immunologa della Columbia University e autrice senior dello studio, indicando che questo potrebbe spiegare perché i più giovani non sviluppano forme gravi di Covid-19. Nessuno di loro, nello specifico, aveva sviluppato anticorpi contro una specifica proteina virale, chiamata nucleocapside, o proteina N, che si trova associata al materiale genetico del virus, aumentandone la stabilità. “Questo suggerisce – spiega Faber – che nei bambini e nei ragazzi esista davvero un decorso di infezione più lieve, poiché il riconoscimento da parte del sistema immunitario delle proteine N (che si trovano all’interno del virus e quindi non esposte sulla superficie, ndr) richiede la lisi delle cellule infettate”.
La ridotta risposta anticorpale nei più giovani, indicano sempre i ricercatori, potrebbe anche determinare “un’efficace clearance virale immuno-mediata, con conseguente minor numero di sintomi respiratori e malattie gravi”. Vale a dire che, grazie alla risposta immunitaria più debole, i bambini possono sconfiggere il virus prima che questo abbia avuto modo di infettare un grande numero di cellule, aiutando inoltre a spiegare perché sia meno probabile che trasmettano l’infezione alle altre persone. “Potrebbero essere contagiosi per un periodo di tempo più breve” ha aggiunto Faber.
Avere una risposta immunitaria più debole e minore, sottolineano gli esperti, non significa dunque che i più giovani siano esposti a un maggiore rischio di reinfezioni ma permetterebbe invece di chiarire il motivo per cui bambini e ragazzi eliminano l’infezione più rapidamente degli adulti, trasmettendo in misura minore l’infezione. Risultati attorno a cui, in ogni caso, gli studiosi sollecitano comunque una certa cautela perché, sottolineano, riferiti ad analisi effettuate su campioni prelevati in momenti diversi dell’infezione.