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Il bel paese dei veleni

Le ricerche dell’Istituto Superiore di Sanità rilevano un incremento del 15% della mortalità nei siti contaminati da veleni di diversa provenienza: un dato che riguarda tutta l’Italia da Nord a Sud.
A cura di Nadia Vitali
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Le ricerche dell'Istituto Superiore di Sanità rilevano un incremento del 15% della mortalità nei siti contaminati da veleni di diversa provenienza, un dato che riguarda tutta l'Italia da Nord a Sud

Città flagellate dai veleni, tutta l'Italia unita, da Nord a Sud, nel condividere la medesima triste sorte delle aree contaminate, dove si muore di più e più facilmente: da Porto Marghera a Taranto, da Falconara a Piombino, da Porto Torres a Gela. Quarantaquattro luoghi distribuiti lungo il paese in cui le condizioni ambientali sono degenerate a tal punto, causa l'inquinamento, che i residenti hanno probabilità di ammalarsi più alte della media delle proprie regioni del 15%.

Una ricerca coordinata dall'Istituto Superiore di Sanità, durata cinque anni, ha analizzato i rischi per la salute degli abitanti di quei 44 siti per i quali sono state avviate, concluse o previste procedure di bonifiche dell'ambiente. I risultati di Sentieri, questo il nome dello studio, sono stati presentati al 35° congresso annuale dell'Associazione Italiana di Epidemiologia, confermando i dati di indagini precedenti relative al rapporto causale tra elevata mortalità e aree contaminate.

Milleduecento casi in eccesso, rispetto alla media delle proprie regioni, in particolar modo nelle zone inquinate dell'Italia Meridionale: un numero allarmante, frutto di complesse analisi che hanno valutato le molteplici variabili che vengono coinvolte nei processi che portano a sviluppare un male. Infatti, come sottolineato da Pietro Comba, direttore del Reparto di Epidemiologia Ambientale dell'ISS: «La correlazione è certa solo nel caso di mesotelioma pleurico da amianto. Per le altre malattie l'ambiente è uno dei fattori che ha concorso all'insorgenza della patologia.»

Nei siti presi in esame, infatti, è stata osservata una mortalità dovuta al tumore della pleura superiore di circa 400 casi rispetto a quanto previsto per quelle zone, mentre «nei poli petrolchimici si sono osservati eccessi di morte per tumore polmonare o per malattie respiratorie non tumorali. Per questo dato l'attribuzione alla contaminazione ambientale, pur non essendo certa, risulta probabile.» E, del resto i numeri parlano chiaro, anche se, per questi esempi, non è stato ancora stabilito l'esatto rapporto di causa-effetto.

Inoltre, a seconda delle diverse aree prese in esame, sono stati riscontrati «incrementi localizzati di mortalità  malformazioni congenite, malattie renali, malattie neurologiche e oncologiche riconducibili, sempre con criteri probabilistici, alle specifiche emissioni considerate» mentre nei siti contaminati da Policlorobifenili, celebre il caso dello stabilimento Caffaro di Brescia, dati significativi testimoniano un aumento dei linfomi non Hodgkin, tumori maligni dei tessuti linfatici.

Piombo, mercurio e solventi organoclorurati, inoltre, sono stati messi in correlazione con altre patologie, nelle aree colpite da incremento di malattie neurologiche. Questa la situazione del nostro bel paese, avvelenato da impianti siderurgici e petrolchimici, quando dismessi ancora mortali, raffinerie e cave di amianto, discariche autorizzate o illegali: contaminato da un morbo che è la crisi ambientale che non lascia scampo, se non dopo tanti, tanti anni.

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