Identificati i rottami dell’aereo di Amelia Earhart
La sparizione di Amelia Earhart è un mistero sul quale si indaga da 77 anni, ossia da quel giorno in cui l'aviatrice più celebre della storia dell'umanità ebbe l'ultimo contatto radio con il mondo: era il 2 luglio del 1937 ed Amelia era vicina a compiere la sua impresa da record, il giro del mondo. Amelia di primati ne aveva già stabiliti parecchi: basti pensare che fu la prima donna, nel 1932, a compiere la trasvolata dell'Atlantico in solitaria (e comunque, prima di lei, soltanto Charles Lindbergh aveva portato a termine la medesima azione eroica). Il suo viaggio sul Lockheed Electra L10, questa volta in compagnia del secondo navigatore Fred Noonan, volgeva ormai verso la sua ultima tappa quando qualcosa accadde che inghiottì per sempre i due piloti nel nulla: cosa esattamente è rimasto incerto per lungo tempo. Fino ad oggi. Perché gli esperti del TIGHAR (The International Group for Historic Aircraft Recovery) hanno recentemente annunciato che la prova definitiva di quanto accadde alla giovane eroina americana è stata trovata.
Le ricerche dell'epoca
Bisogna tener presente che Amelia Earhart fu un personaggio di fama già quando era in vita: abile, brillante, bellissima, si conquistava spesso servizi fotografici, non soltanto quando indossava il suo caschetto da aviatrice. La sua sparizione ebbe quindi una vastissima eco anche perché Amelia incarnava tutte le caratteristiche del "sogno americano" assurgendo, al contempo, a simbolo di una modernità della quale era protagonista la stessa Europa. Quando fu chiaro che se ne erano perse le tracce – dopo il suo ultimo, disperato tentativo di comunicare che non riusciva a vedere l'isola di Howland dove doveva fare scalo – il Presidente Franklin Delano Roosevelt mise a disposizione una decina di navi, oltre sessanta aerei e circa 3.000 uomini nel tentativo di rintracciare i due naufraghi del cielo nell'area dell'Oceano Pacifico dove dovevano trovarsi, secondo le tracce che avevano lanciato via radio: la ricerca non portò ad alcun esito.
L'atollo di Nikumaroro
Trattandosi di un vero e proprio mito vivente, la cui leggenda sarebbe stata ulteriormente alimentata dalla misteriosa scomparsa, non mancarono le ipotesi fantasiose che ne fecero una prigioniera nelle mani dei giapponesi giustiziata in qualità di spia o, addirittura, tornata successivamente in America sotto falso nome. Molto più probabilmente, invece, Amelia Earhart e Fred Noonan "sfuggirono" alle ricognizioni che vennero effettuate e morirono di stenti sull'atollo di Nikumaroro, a quel tempo isola di Gardner nell'arcipelago delle Kiribati, dove, da anni ormai, sono concentrate la maggior parte delle ricerche moderne.
Lo scheletro ritrovato
Gli indizi che porterebbero all'isolotto sono molteplici: probabilmente il più interessante risale al 1940. All'epoca sull'atollo, fino a quel momento disabitato, giunse un continente militare dell'esercito britannico: il primo ufficiale Gerald Gallagher riferì di aver trovato uno scheletro, «probabilmente di una donna» accanto alla scatola di un sestante. Le indagini condotte l'anno successivo sui resti, che furono inviati alle Fiji, conclusero che doveva trattarsi del corpo di un uomo, ma nuove analisi forensi effettuate nel 1998 stabilirono che quelle ossa appartennero ad una donna di razza nordeuropea: in ogni caso, oggi quei reperti sono andati accidentalmente perduti e, quindi, non possono essere considerati una prova a tutti gli effetti. Ma c'era un altro elemento sul quale il TIGHAR era a lavoro da un po'.
La chiave del mistero
Negli anni successivi, infatti, altri reperti vennero individuati; una scuola di scarpa compatibile con il numero di piede di Amelia, un vasetto di crema che la donna usava, cocci di vetro che mostravano di avere diversi decenni di vita alle spalle, alcuni ossicini appartenenti alle dita, attrezzi rudimentali che forse vennero utilizzati per uccidere delle tartarughe o aprire i gusci dei frutti di mare. E un pezzo di alluminio, recuperato nel 1991: proprio quello porterebbe la firma inequivocabile dello sciagurato volo di Amelia Earhart. L'aviatrice annunciò la sua intenzione di compiere il giro del mondo da Miami: era al secondo tentativo dell'impresa. Mentre si trovava nella città della Florida, il suo aeroplano subì una piccola modifica: una finestra fatta su misura per il suo Lockheed Electra venne rimossa e sostituita da un rattoppo di alluminio. Un oggetto simile non poteva essere rinvenuto in qualunque aereo poiché dimensioni, proporzioni e modello dei rivetti erano condizionati dalla forma della finestra preesistente: dal confronto dei dati in loro possesso con quel foglio di alluminio, gli esperti del TIGHAR ritengono di poter affermare con certezza che il reperto 2-2-V-1 appartenne all'aereo di Amelia.
Dove è finito il relitto?
Certo, manca il relitto completo: ma questo potrebbe essere facilmente finito nell'Oceano a causa delle mareggiate e trascinato chissà dove dalle onde: tuttavia, nel 2012, un'anomalia riscontrata attraverso un sonar avrebbe fatto quasi sperare ai ricercatori di essere in presenza dell'aereo sommerso. Tale "anomalia" avrebbe proprio le dimensioni della fusoliera dell'aereo: qualcuno sostiene che possa trattarsi effettivamente di un oggetto opera di mano umana, per altri potrebbe essere soltanto una qualche peculiarità geologica. Comunque sia, tutti sono concordi nel sostenere che meriterebbe una ricognizione a più approfondita e, alla luce del nuovo ritrovamento, tale lavoro assumerebbe anche un significato maggiore.
Morti di stenti
Diverse prove suggeriscono che l'atterraggio di emergenza seguito all'avaria non portò alla morte immediata del piccolo equipaggio: purtroppo i segnali radio di emergenza che furono inviati nelle cinque notti successive all'incidente dalla disperata Amelia atterrata a Nikumaroro vennero ignorati. Verosimilmente, trascorsi quei giorni, le onde delle maree crescenti portarono via l'aereo, del quale utilizzavano la strumentazione, lasciando Amelia e Fred soli sull'atollo disabitato. Lì, senza viveri e senza acqua dolce, sopravvissero probabilmente qualche tempo prima di morire di stenti.