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I “vampiri” polacchi vennero uccisi dal colera

Uno studio recente ha avanzato alcune ipotesi per spiegare il particolare trattamento post mortem riservato ad alcune persone vissute nel XVII secolo nel villaggio di Drawsko.
A cura di Nadia Vitali
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Donna di età compresa tra i 30 e i 39 anni con un falcetto che le blocca il collo (foto da PLOS ONE)
Donna di età compresa tra i 30 e i 39 anni con un falcetto che le blocca il collo (foto da PLOS ONE)

Agli archeologi accade, neanche troppo raramente, di imbattersi in sepolture anomale, in cui il cadavere è stato composto in una maniera tale da comunicare, allo scopritore, la disperata volontà di impedire il ritorno sulla terra del defunto: sassi o mattoni in bocca e sotto il mento, picchetti conficcati nel cuore, chiodi che tengono saldamente fisso il corpo al suolo in modo da non farlo alzare mai più.

I “vampiri”

Spesso a questi sventurati si dà convenzionalmente il nome di “vampiri”, dal momento che evidentemente chi assistette alla loro morte provò il terrore che questi potessero aggirarsi nuovamente tra i vivi, recando danni gravissimi alla comunità e magari trascinandone tutti i membri verso l’eterna dannazione. Il valore apotropaico di queste sepolture è stato spesso oggetto di studio da parte degli antropologi e degli archeologi, ma l’interrogativo che più spesso sorge quando ci si trova dinanzi a situazioni del genere è: come si poteva finire ad essere additati come “vampiri”? Di quali infamie bisognava macchiarsi in vita per ricevere un tale trattamento anche da morti? Conoscendo il genere umano, tutto sommato, sarà facile immaginare che la diversità di qualunque tipo poteva essere già un ottimo punto di partenza per ritrovarsi in svantaggio: e per essere diversi, spesso, basta davvero poco, come ad esempio provenire da un altro luogo, parlare un’altra lingua, pregare un altro dio.

Sei tombe anomale in un piccolo cimitero di campagna

I ricercatori guidati da Lesley Gregoricka della University of South Alabama credevano proprio di trovarsi di fronte ai cadaveri di sei stranieri, quando hanno iniziato a lavorare sulle sepolture anomale presenti nel cimitero di Drawsko, piccola località rurale polacca nella Pomerania occidentale. L’area cimiteriale risale al XVII-XVIII secolo e in essa, tra il 2008 e il 2012, sono stati rinvenuti circa 285 corpi, di generi ed età diversi, per la maggior parte all’interno di casse in legno: tra questi, però, sei individui erano stati sepolti con particolare “attenzione”. Un uomo, tre donne, una giovane ed un giovane di sesso incerto: a cinque di essi era stato posto un falcetto in corrispondenza della gola o dell’addome, in modo da tranciare ad essi la testa o la pancia, non appena accennassero un movimento di risalita; due presentavano una pietra sistemata sotto il mento, quasi ad impedirne la possibilità di mordere o di nutrirsi in qualche modo. Curiosamente, comunque, queste sepolture anomale non erano in disparte bensì tra quelle regolari.

Vampiri stranieri?

Per spiegare queste stranezze, quindi, i ricercatori hanno pensato di cercare tracce di una loro eventuale origine straniera, partendo dalla consapevolezza che quell'area geografica fu oggetto di importanti flussi migratori tra il XVII e il XVIII secolo. Hanno così esaminato i denti di 60 diversi individui, tra cui i “vampiri”, e di alcuni animali locali, puntando la loro attenzione in particolare sugli isotopi dello stronzio incorporati dai molari durante la fase di crescita di ciascuno: questo genere di analisi è in grado di suggerire, in linea di massima, dove la persona è cresciuta e se si è spostata nell'arco della propria vita e, in buona sostanza, se è morta in luogo diverso da quello in cui venne al mondo. Ebbene, la pista seguita da Gregoricka e colleghi si è rivelata non portare a niente: le sei persone in questione, infatti, si sono rivelate originarie del luogo; nel cimitero erano anche sepolti alcuni stranieri, tuttavia questi avevano ricevuto l’onore di una sepoltura normale.

La paura della malattia

I ricercatori hanno però ipotizzato una spiegazione alternativa, sulla base dei dati relativi alle epidemie che flagellarono l’Europa orientale con particolare intensità nel XVII secolo: è verosimile pensare, sostengono nel paper pubblicato da PLOS ONE, che i sei fossero morti a causa del colera e che gli abitanti della piccola comunità, incapaci di riconoscere la malattia causata dal batterio in ragione delle conoscenze scientifiche del tempo ancora carenti sotto questo punto di vista, guardarono a quelle persone come a degli “untori”. Degli untori soprannaturali, tuttavia, in grado di diffondere il morbo attraverso poteri impalpabili: quindi, alla loro morte, niente di più giusto che seppellirli con tutte le dovute cautele, per impedir loro di continuare a mietere vittime ferocemente.

Purtroppo, però, questa teoria sarà destinata a restare per sempre tale, dal momento che, spiegano gli esperti, il colera non lascia tracce nelle ossa tali da poter essere individuate da studi condotti diversi secoli dopo. Ci dovremo accontentare di una spiegazione – la malattia – che è stata comunque spesso presa in considerazione per tentare di comprendere come mai un essere umano poteva diventare temibile al punto da ispirare terrore anche per uno suo ritorno post mortem.

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